A Villa Bardini mostra su Colacicchi, per Sgarbi il Piero della Francesca del 900
Villa Bardini sta registrando un mese record con la grande retrospettiva dedicata, a vent’anni dalla scomparsa, a Giovanni Colacicchi, uno dei massimi pittori neofigurativi italiani.
Aperta al pubblico il 18 aprile scorso, la mostra si appresta a raggiungere i 10 mila visitatori, un record importante, superiore a quella di tanti piccoli grandi musei cittadini.
“Ciò non mi meraviglia – sottolinea il critico d’arte Vittorio Sgarbi – Pontormo a parte, quella di Colacicchi è senz’altro l’esposizione più bella e interessante attualmente a Firenze. E’ la riscoperta di un grande artista, che ha il merito di aver riproposto valori e ideali della pittura del Rinascimento. Colacicchi è il Piero della Francesca del Novecento italiano”.
Curata da Mario Ruffini e Susanna Ragionieri con la consulenza scientifica di Carlo Sisi, la mostra è promossa dal Comune di Firenze con la Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron e il Kunsthistorisches Institut in Florenz – Max-Planck-Institut.
Circa 80 le opere esposte, che riassumono l’intera produzione artistica di Colacicchi (Anagni 1900 – Firenze 1992).
La più celebre L’allegoria per un cinematografo esposta per mezzo secolo a Firenze nella hall del cinema Gambrinus, cinema oggi chiuso avendo lasciato il posto al Rock Caffè.
Giovanni Colacicchi (1900-1992) fu una delle intelligenze artistiche eminenti, poeta musicofilo armato di pennello, interprete del moderno ritorno alla realtà e alla figura con cui in Europa si andò ricomponendo, dopo secoli, l’abbraccio umanistico tra parola, immagine e suono che aveva prodotto il miracolo del Rinascimento.
Tra astrattismo, strutturalismo e concettualismo internazionalmente imperanti, nel dopoguerra la sua estetica coerente finì però per isolarlo e la grande retrospettiva che Villa Bardini gli dedica ora a vent’anni dalla morte, “Giovanni Colacicchi. Figure di ritmo e di luce nella Firenze del ‘900“, fino al 19 ottobre, ha dunque il sapore della riscoperta di un gigante neofigurativo, celebrando, con la maestria del pittore, la straordinaria stagione creativa vissuta da quel microcosmo di intellettuali antifascisti (o semplicemente non fascisti) a dispetto di dittature, guerre e persecuzioni.
L’Allegoria trionfo delle arti è la summa di una pittura ricca di sole e sensualità mediterranee, melodiosa nella sua apparente semplicità, perfetta nella sua geometrica armonia: le opere di Colacicchi possiedono la magia dei versi, il misterioso fascino del suono, l’inquieta leggerezza degli enigmi, l’incerto spessore dei sogni. E come nel vario alternarsi di note e pause di uno spartito musicale, colori e sfumature danno ritmo alla forma.
Colacicchi fu in realtà a lungo incerto se dedicarsi alla poesia.
Era nato ad Anagni da famiglia gentilizia di osservanze pontificie e aveva ricevuto in seminario educazione classica e musicale in prospettiva di un futuro sacerdozio.
Quando sedicenne si trasferì a Firenze dopo la morte della madre, si dette invece alla pittura arrivando rapidamente a virtuosismi magistrali.
Espose presto opere di sapore metafisico (influenze di de Chirico poi superate) e presto si sposò, salvo innamorarsi follemente della giovane allieva Flavia Arlotta, lei stessa pittrice colta e raffinata, che sarà compagna devota di tutta la vita, musa, moglie e madre dei suoi figli.
Colacicchi ha vissuto da protagonista gran parte delle vicende artistiche e culturali di tutto il Novecento.
Fu tra i fondatori di Solaria, partecipò a numerose Biennali, assegnò e ricevette premi, ebbe più volte anche incarichi istituzionali, fu a lungo critico d’arte del quotidiano La Nazione.
Schierato col Partito d’Azione, fu tra l’altro chiamato a presiedere la commissione che, a guerra finita, ebbe il compito di epurare dall’Accademia di Belle Arti gli insegnanti fascisti, tra cui, a torto o a ragione, Ottone Rosai e Primo Conti.
Uomo d’azione Colacicchi lo fu anche nei fatti: nel 1918 si arruolò volontario negli arditi, salvo non arrivare mai in prima linea per la fine improvvisa della guerra.
Resta negli annali la sfida a duello che, per difendere l’onore del maestro e amico Francesco Franchetti morto suicida, lanciò a Piero Bargellini. Duello al quale il futuro sindaco di Firenze si sottrasse dichiarandosi impedito dalla fede cattolica.
Colacicchi fu artista essenzialmente amante della vita: amò le donne, la luce, la campagna, il mare, amò il cibo, ballare e cantare.
E da uomo fortunato ebbe un’esistenza perlopiù appagante, sempre iper produttivo e attivo fino alla morte, nella sua bella e semplice casa di via dell’Osservatorio sulle verdi colline fiorentine.
Cecilia Chiavistelli
Dal numero 19 Anno I del 21/05/2014
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