Con le ali ai piedi
“Sono un contadino dell’Unione sovietica, un ragazzo nato su un treno, ho il dovere di dimostrare al mondo che sono il migliore. Io sono Rudolf Nurejev e voglio essere libero”.
Era il 17 marzo 1938 quando Rudolf nasce su un vagone passeggeri della ferrovia transiberiana nei pressi di Irkutsk, in Siberia, mentre sua madre si recava a trovare il padre, un commissario politico dell’Armata Rossa.
La nascita di una leggenda.
Ultimo di cinque figli, Rudolf cresce con la madre, le tre sorelle, un fratello e un padre poco presente con cui sviluppò un rapporto molto conflittuale; dopo la Siberia la famiglia si trasferì a Mosca, erano anni difficili, minati dalla seconda guerra mondiale. Furono poi sfollati, nel 1941, in un piccolo villaggio nei pressi di Ufa in Baschiria, tuttavia a Ufa esisteva un teatro e, la sera del 31 dicembre 1944, Rudolf assistette a un balletto e capì che la vera passione della sua vita sarebbe stata la danza.
Nessuno avrebbe scommesso sul futuro di quel ragazzo nato su un treno in corsa e cresciuto in povertà, nessuno avrebbe mai lontanamente immaginato che un giorno sarebbe diventato uno dei più grandi ballerini della storia della danza.
Scontroso, passionale, tenace, perfezionista, determinato, impetuoso, spietato soprattutto nei confronti di se stesso, questo era Rudolf, e tra pochi giorni esce anche un film a lui dedicato, a mio parere imperdibile.
“Nurejev, The White Crow” racconta una storia a cavallo tra politica e arte, tra guerra fredda e voglia di ribellione, una storia al di là delle regole, impossibile non restarne affascinati.
Rudolf muore nel 1993 di AIDS, anche lui come molti in quel periodo, fu sorpreso e colto impreparato dall’AIDS, la malattia che negli anni ottanta inizia a diffondersi e spaventare, proprio perché sconosciuta: all’epoca di Aids si moriva.
Se ne andò il 6 gennaio in una clinica parigina, la città che lo aveva ospitato.
Sue queste parole: “Io danzavo perché era il mio credo, il mio bisogno, le mie parole che non dicevo, la mia fatica, la mia povertà, il mio pianto”.
P. S. Ogni uomo dovrebbe danzare per tutta la vita… e ciò non vuol dire essere ballerino, ma danzare.
Sempre vostra.
Silvana Scano
Dal numero 254– Anno VI del 26/6/2019
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