Il Carcere di Sollicciano: denuncie e prospettive
Insieme a don Vincenzo Russo, cappellano del carcere di Sollicciano, e a Massimo Lensi dell’associazione per l’iniziativa radicale, Andrea Tamburi e i consiglieri del gruppo “Firenze riparte a sinistra” Tommaso Grassi, Donella Verdi e Giacomo Trombi, hanno presentato il documento “Un vero ponte per Sollicciano”, sottoscritto anche dall’attore Paolo Hendel, in vista del Consiglio comunale straordinario che sarà convocato, presumibilmente entro la fine del 2017, all’interno dell’istituto penitenziario fiorentino.
“È indispensabile, per chi vuole amministrare questa città, recuperare quel rapporto con il carcere che ospita ad oggi 684 persone, di cui oltre il 70% stranieri e in gran parte per reati minori legati a droghe o all’immigrazione, e per cui ci corre l’obbligo di garantire le migliori condizioni possibili”, dichiarano Massimo Lensi e don Vincenzo Russo insieme al Capogruppo Tommaso Grassi.
“Nello scorso mandato – aggiunge Tommaso Grassi – fu organizzato un Consiglio comunale a Sollicciano. Sette anni fa ci fu chiesto di dare delle risposte alle domande poste dai carcerati che portavano alla luce questioni che riguardavano i problemi quotidiani. Nella gran parte dei casi non sono state date risposte alle richieste poste e ai problemi irrisolti si sommano le nuove emergenze: dalla cucina pronta da anni ma mai messa in funzione, ai problemi delle infiltrazioni d’acqua dai tetti, un muro crollato, la situazione dei bagni e delle docce, la riqualificazione degli spazi di rieducazione come la chiesa ed il teatro, l’acquisto dei ventilatori per il caldo quando poi si sono accorti che l’impianto non regge un numero elevato di apparecchi”.
“Inoltre – aggiunge il capogruppo di ‘Firenze riparte a sinistra’ insieme a Lensi e Russo – chiediamo continuità perché Sollicciano ha avuto cinque direttori in due anni e questo non ci ha permesso di avere un interlocutore per confrontarci e per fissare il Consiglio comunale straordinario. È necessario che le istituzioni ci siano e che portino una risposta tempestiva alle questioni poste dai carcerati”.
“Chiediamo, infine, maggiore trasparenza: vorremmo sapere come si spendono i soldi per il carcere: dove vengono spese, a chi vengono dati, chiediamo anche di concepire in maniera nuova e diversa il concetto di carcere da parte delle istituzioni: Comune e Regione. Mettere mano all’aspetto della responsabilità civile – spiega il capogruppo di ‘Firenze riparte a sinistra’ – e porsi il problema del sovraffollamento carcerario. Ci troviamo di fronte ad una richiesta di pseudo sicurezza. I reati non stanno aumentando ma si chiede maggiore sicurezza perché la sicurezza porta voti. Le carceri sono oggi piene di persone rinchiuse per reati legati alla tossicodipendenza o per reati legati allo status di clandestinità. In una società che si dichiara civile le istituzioni devono rispondere a dei percorsi di rieducazione. Come una scuola, come un ospedale, anche il carcere è parte integrante della nostra vita”.
Un vero ponte per Sollicciano (TESTO DI Don Vincenzo Russo, cappellano del carcere di Sollicciano, Tommaso Grassi, Giacomo Trombi, Donella Verdi, consiglieri comunali “Firenze Riparte a Sinistra”, Massimo Lensi, associazione per l’iniziativa radicale “Andrea Tamburi”, Paolo Hendel, attore, iscritto al Partito radicale
Le carceri italiane tornano a essere sovraffollate più di quanto un fisiologico soprannumero di ristretti consentirebbe. Il carcere fiorentino di Sollicciano è uno tra gli istituti penitenziari italiani più difficili e di nuovo ospita molti più detenuti di quanti struttura e organizzazione possono reggere (30% in più al 30 settembre 2017). Nato nel 1983 nell’omonimo quartiere nella parte sud-ovest di Firenze è da allora in crisi permanente. In nome di un cervellotico tentativo di inserire la struttura nel territorio circostante, si volle che la pianta del complesso carcerario di Sollicciano richiamasse il giglio fiorentino. Su questo il fallimento è stato totale: se con la vecchia galera delle Murate il rapporto tra città e struttura detentiva era forte e complesso, con Sollicciano oblio e noncuranza sono spesso stati la regola. Concepito con l’ambizione di incarnare il modello del carcere moderno già al momento dell’inaugurazione Sollicciano si palesò pieno di difetti strutturali, architettonici e sociali. Oggi, è un complesso abnorme e decerebrato: cemento ovunque, una collezione di gigantesche tracce di infiltrazioni umide, con a contorno enormi spazi vuoti colmi di squallore e degrado, invece che di vita sociale. Unica eccezione l’inutilizzato giardino degli incontri, voluto e ideato dall’architetto Michelucci, che al più è usato come spazio per rari convegni. Tutto a Sollicciano è sproporzionato. Smisurati i corridoi di collegamento tra vari bracci, enormi le porzioni di cemento ricurvo che fungono da collegamento panottico tra sorveglianti e detenuti, mastodontica la visione di insieme: 15 ettari di cui solo 2,5 coperti. Un mostro da qualsiasi punto di vista lo si voglia guardare, una fatica immane per chi lo deve vivere.
In questa oscillazione tra realtà percepita e diversità, l’apparato istituzionale nicchia a dare risposte. Il carcere è un muro di gomma su cui tutto rimbalza e, soprattutto, è anche un’ideologia della trasformazione che rischia di entrare nei tessuti vitali della nostra società, avvelenandoli. Lo Stato sociale di diritto naufraga e con sé porta a fondo i precetti classici della solidarietà e della civiltà giuridica. Noi vogliamo costruire un vero ponte tra Sollicciano, le istituzioni e i cittadini di Firenze. Un ponte percorribile con fiducia nei due sensi di marcia per ridare dignità a chi nel carcere è ristretto, o vi lavora e per ridare a Firenze l’umanità pragmatica che l’ha sempre contraddistinta. Per realizzare questo c’è però molto lavoro da fare e molta consapevolezza da acquisire. Ora, infatti, Sollicciano è una discarica sociale abbandonata a se stessa e minacciata da sentimenti di vendetta sociale, o di ignavia, instillati e alimentati da chi di questi sentimenti e paure si serve per soffocare la parte migliore della polis, corrompendone il sentimento di giustizia e rendendola complice nel trasformare l’esecuzione della pena in tortura e scuola del crimine. Un penitenziario è sempre una realtà difficile, certo, ma le sue difficoltà e le sue speranze diventano insormontabili se la città lo espelle. Quando qualcosa non funziona in una scuola, o in un ospedale, si muovono le istituzioni, i sindacati e la società civile. Così deve tornare a essere anche per Sollicciano, perché un carcere che rispetta la dignità della persona e del lavoro è parte integrante dello stato di diritto e può applicare con sicurezza il principio dell’effettività rieducativa della pena all’interno di un quadro di legalità costituzionale. Solo così chi ha sbagliato può pagare e tornare ad essere una risorsa, per sé e per la collettività violata dalle sue azioni. Per questa ragione ci rivolgiamo al Sindaco di Firenze, al Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, al Consiglio Comunale di Firenze perché, in vista del Consiglio straordinario convocato all’interno del carcere di Sollicciano, siano fatti urgenti e tempestivi investimenti di natura amministrativa, strutturale e politica. Segnaliamo a questo proposito una serie, non definitiva e in corso di perfezionamento, di interventi urgenti e di proposte di lavoro.
1) Al 30 settembre 2017 risultano reclusi a Sollicciano molti più detenuti di quanto struttura e organizzazione, già problematiche, possano gestire (30% in più sulla capienza attuale), con l’aggravante di una quota di stranieri estremamente elevata (66%). Tra le cause che concorrono a questa situazione v’è senza dubbio l’impossibilità per gli stranieri di accedere alla detenzione domiciliare, per mancanza di un numero sufficiente di strutture atte a ospitarli.
2) Dalla data dell’evasione di tre detenuti, il 20 febbraio 2017, benché si sia fatto in fretta a sollevare il direttore e il comandante del corpo di Polizia Penitenziaria dall’incarico, Sollicciano ancora non ha un direttore definitivo. È stato nominato un direttore pro-tempore che attualmente garantisce una presenza di un paio di giorni a settimana, senza la necessaria continuità di cui un istituto di tali dimensioni ha bisogno;
3) I due commissari ora presenti con mansioni di comandante e vice comandante del corpo di Polizia Penitenziaria sono stati assegnati al carcere di Sollicciano solo a titolo provvisorio e possono in qualunque momento essere richiamati. Malgrado la buona volontà e gli sforzi del personale, è evidente che tale situazione rende precaria sia l’organizzazione del lavoro della Polizia Penitenziaria, sia le attività trattamenti.
4) Simili carenze di organico si riscontrano anche riguardo i ruoli di ispettori e sovraintendenti, per di più nel contesto di un generale sottodimensionamento del personale di Polizia Penitenziaria effettivamente in servizio a Sollicciano, che risulta essere inferiore a quello previsto di quasi il 30% e quindi necessariamente sottoposto ad aggravio di turni, fatica e stress.
5) Dal giorno della suddetta evasione non è stato portato a compimento nessuno degli interventi strutturali ritenuti fondamentali. La situazione generale da un punto di vista della sicurezza rimane quindi del tutto invariata:
a) Il muro di cinta del complesso è tutt’ora inagibile e pericolante in gran parte del suo perimetro.
b) Il sistema di videosorveglianza ha subito un incremento minimo ed è tutt’ora inadeguato a garantire l’appropriata sorveglianza dell’istituto.
c) Sebbene sia prevista l’installazione di nuove telecamere lungo il perimetro della struttura, si è sin qui iniziato a installarle proprio sul muro di cinta inagibile e pericolante che forse si dovrà abbattere. Il rischio è un lavoro inutile e lo spreco di risorse.
6) Prima dell’evasione vigeva un sistema di apertura delle celle che permetteva ai detenuti di non restare costretti all’ozio nella propria stanza per gran parte della giornata, potendo uscirne e circolare nei bracci, anche per socializzare, fino alle ore 20,30. Dopo l’evasione, il regime di apertura è stato revocato e i detenuti possono uscire dalla cella solo nel breve tempo destinato all’ora d’aria e a turno.
7) Subito dopo l’evasione e la chiusura dei detenuti, il DAP e il PRAP avevano progettato l’installazione di un sistema di videosorveglianza all’interno delle sezioni detentive per consentire ai detenuti di passeggiare negli spazi comuni pur restando sorvegliati e per evitare, come è invece accaduto questa estate, di restare fino a 18 ore al giorno chiusi in celle con temperature che hanno raggiunto anche i 50 gradi centigradi.
8) Durante l’estate, la Regione e diverse realtà private hanno fornito al carcere dei ventilatori per mitigare l’accumulo di calore nelle celle nelle settimane di caldo torrido che si sono succedute. L’installazione di tali strumenti di sollievo si è dimostrata impossibile per la presenza di cogeneratori inadeguati a sopportarne il carico, rendendo ancora più urgente l’avvio di lavori all’impianto elettrico per permettere di installare un sistema di condizionamento e aereazione salubre. Di questi lavori si continua a parlare da anni, ma non v’è ancora concretamente segno di un loro possibile inizio.
9) È stato avviato con i fondi della Cassa delle Ammende un progetto di rifacimento dei tredici passeggi che avrebbe dovuto rendere questi spazi più grandi e più vivibili. I lavori si sarebbero dovuti concludere entro luglio 2017. Ad oggi, nemmeno uno dei tredici passeggi è invece stato terminato.
10) Presso il reparto assistiti è presente la Sezione Accoglienza per le persone appena arrestate che pur essendo pronta da tempo è tutt’ora inagibile. Tale sezione dovrebbe garantire ai detenuti un ingresso in carcere meno traumatico e al personale di Polizia Penitenziaria la possibilità di inquadrare meglio i nuovi detenuti nei loro bisogni e negli aspetti di eventuale pericolosità.
11) Occorre, infine, una maggiore trasparenza su tutti gli investimenti istituzionali verso questo istituto penitenziario. Una trasparenza amministrativa, politica e contabile sui progetti che vedono coinvolte le associazioni del volontariato e che hanno come finalità la rieducazione del detenuto e il suo inserimento sociale attraverso il lavoro.
La Redazione
Dal numero 178 – Anno IV del 1/11/2017
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