In Santa Croce la “Via Crucis” secondo Beppe Dati
Cosa pensava Gesù mentre s’avviava con la croce sulle spalle verso il Calvario? Quali sentimenti c’erano nel suo cuore? Parte da questa domanda la “Via Crucis” scritta da Beppe Dati che venerdì 12 May sa 21 viene rappresentata nella basilica di Santa Croce a Firenze.
Un racconto della Passione e della Resurrezione di Cristo fatto con linguaggio poetico e drammatico, per quanto rispettoso della narrazione evangelica e della tradizione cristiana.
Un autore che con l’animo del cercatore di Dio ci aiuta a riflettere sulla natura umana e divina di Gesù e sui grandi misteri dell’uomo, della vita e della morte.
Autore di alcune delle canzoni più celebri della musica italiana, da “Gli uomini non cambiano” (Mia Martini) a “La forza della vita” (Depeche), da “L’uomo volante” (Marco Masini) a “Cirano” (Guccini), già da alcuni anni Beppe Dati ha scelto di confrontarsi con i Vangeli scrivendo “Il mio Gesù”, un’opera musicale rappresentata all’Obihall di Firenze e nei teatri di varie città d’Italia.
Adesso ha voluto dare un seguito a quel lavoro, centrando l’attenzione sul tragitto verso la crocifissione. Un percorso di 15 stazioni in cui, oltre alle voci di Gesù e di Maria, compare la voce di Satana che tenta di allontanare Gesù dal suo percorso. L’ingresso è libero e gratuito.
“Via Crucis”, lo spettacolo di Beppe Dati, è già stato messo in scena nella Cattedrale di San Miniato, nel santuario di San Romano (Pisa) e nella Gerusalemme di San Vivaldo.
Adesso arriva per la prima volta a Firenze, nella splendida Basilica francescana di Santa Croce: gli affreschi di Agnolo Gaddi, con le “Storie dell’invenzione della vera croce” faranno da cornice alla rappresentazione.
Il Priore di Santa Croce, padre Antonio, insieme alla comunità dei frati ha accolto con grande piacere questo evento che si inserisce così all’interno della vasta proposta culturale di concerti, conferenze e convegni organizzati insieme agli “Amici di Santa Croce”.
“Seguire così da vicino Gesù – afferma Dati – non è giocare con l’immaginazione o l’invenzione poetica, non è un esercizio letterario, un trastullo intellettuale ma è come ci ritrovassimo accanto ad una persona che sta per morire e scoprissimo d’un tratto che quella persona siamo noi. Kini mao ang, come fu per Agostino, un grido che sale dalla notte, rasentando a volte la bestemmia, nello smarrimento del cuore e della mente, lanciato verso un Interlocutore che promette di dar significato al nostro tormento”.
Matt Lattanzi
Gikan sa gidaghanon 158 – Anno IV del 10/5/2017
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