Klimt Experience fino al 2 aprile

klimtLa mostra Klimt Experience, aperta fino al 2 aprile, tutti i giorni dalle 10 alle 19 presso l’ex chiesa sconsacrata di Santo Stefano al Ponte,  permette di “ condividere” il percorso artistico e umano del  genio Klimt, il  padre del secessionismo viennese  entrato a pieno titolo nell’immaginario comune attraverso opere quali “Il bacio” e “L’albero della vita”.

Una scelta di ben 700 opere viene proiettata con l’accompagnamento  di una colonna sonora che sfuma poi su alcune  frasi scritte che ci fanno capire la statura morale di un grande artista che, sempre più in contrasto con i rigidi canoni accademici, fonda  nel 1897 con  altri diciannove artisti la Wiener Sezession (secessione viennese), attuando anche il progetto di un periodico-manifesto del gruppo, “Ver Sacrum” (Primavera sacra), di cui  verranno pubblicati 96 numeri fino al 1903.

Gli artisti della Secessione aspiravano, oltre a portare l’arte al di fuori dei confini della tradizione accademica, in un florilegio di arti plastiche, design e architettura, anche a una rinascita delle arti e dei mestieri: non vi era uno stile prediletto, sicché sotto l’egida di questo gruppo si riunirono i simbolisti, i naturalisti e i modernisti. Il simbolo del Secessionismo era la Pallade Atena, dea greca della saggezza e delle buone cause, che Klimt raffigurerà nel 1898.

La  proiezione, della durata di circa 50 minuti,  sviluppandosi sulle pareti interne della chiesa, permette la completa  immersione  nella ricchezza  e  nella bellezza dei colori a dir poco faraonica, e  porta  il visitatore a scoprire  l’uso dell’oro, caratteristica che, se da una parte gli viene dal padre orafo (anche un fratello si dedicherà a quest’arte) dall’ altra   si  ricollega ai due viaggi che nel 1903 hanno per meta Ravenna, città dove il  Klimt viennese  diventa un po’ bizantino andando oltre. Infatti, alle dimensioni e alla forma uguale della tessera musiva, Klimt sostituisce la varietà delle forme geometriche per poi  trasferire la tecnica  del mosaico e comporre  prati e paesaggi usando questa volta i fiori come tessere musive.

Tra le opere del periodo aureo c’è  anche “Il bacio” (realizzato tra il 1907 e il 1908), capolavoro che, per la sua  particolare eleganza di stile e l’aura mistico-erotica , divenne manifesto dell’arte secessionista viennese e il maggior esponente del gusto della Belle Époque, senza dimenticare  altri capolavori quali : “Le Tre Età della Donna” (1905), “La Danae” (1907-1908) e “L’Albero della Vita” (1905-1909), a sua volta facente parte del più ampio progetto decorativo per la Sala da Pranzo di Palazzo Stoclet, Bruxelles.

Il periodo aureo si chiuse nel 1909 con “L’esecuzione di Giuditta II”, (detta anche Salomè), seconda raffigurazione dell’eroina ebrea che libera la propria città dalla dominazione assira: l’opera, caratterizzata da cromie più scure e forti, darà infatti avvio al cosiddetto “periodo maturo”.

Oltre l’oro  Klimt  appare in tutta la sua forza Michelangiolesca nel rappresentare la donna  in toni del bianco che rendono le figure come scolpite  e nello stesso tempo “soffici”; l’opera di Klimt, come nessun’altra, tende all’erotismo (sono 14 i figli  riconosciuti da Klimt) alla femminilità: la rappresentazione della  gravidanza, o della vecchiaia – quando alla perdita della bellezza esteriore ci si abbellisce di una bellezza interiore di saggezza – sono  temi  di alcuni suoi capolavori. Conformandosi al pensiero del tempo, per Klimt la femminilità è soggetta alla natura il cui ordine ciclico di divenire e trascorrere egli esprime nei propri ritratti di donna.

Vien da pensare che Klimt abbia subito il fascino delle teorie freudiane e della psicanalisi. In effetti quelli erano gli anni in cui Freud, conterraneo e contemporaneo di Klimt, iniziava a formulare ed esporre le sue teorie.  I critici sono divisi in questo senso, alcuni ritengono che Gustav fu influenzato dalla psicanalisi in questa sua rappresentazione della donna, altri che non ne subì il fascino. In ogni caso entrambi parlavano di libertà coinvolgendo il versante sessuale e depurandolo dalla morale del tempo. Ciò che scandalizzava delle opere di Klimt non era, infatti, il nudo in sé, quanto il suo modo dissacrante di proporlo. Il suo eccessivo realismo lo portò alla rappresentazione della decadenza del corpo che non veniva concepita dal mondo perfetto e glorioso della belle èpoche con la sua negazione del brutto e del triste. L’oscenità derivava inoltre dall’erotismo e la sensualità espliciti nelle opere klimtiane.

Nel 1909 Klimt ebbe un periodo di crisi esistenziale e artistica. Il mito della Belle Époque era ormai giunto al tramonto, così come i fasti dell’Impero austro-ungarico, che collasserà definitivamente con lo scoppio della prima guerra mondiale.

Analogamente Klimt iniziò a mettere in discussione la legittimità della propria arte, soprattutto quando venne a contatto con la produzione di artisti come Van Gogh, Matisse, Toulouse-Lautrec: dal punto di vista stilistico, il “periodo maturo” (o “terza fase klimtiana”) è caratterizzato dalla fusione di queste influenze e dall’abbandono del fulgore dell’oro e delle eleganti linee art nouveau. Determinante per questa contaminazione fu anche l’incontro con la pittura espressionista, che in ambito viennese trovò due grandi interpreti: Egon Schiele e Oskar Kokoschka, già suoi allievi.

Notevole fu anche il decisivo influsso esercitato dall’Impressionismo, che emerge nei diversi paesaggi che Klimt dipinse in questo periodo, che ricordano molto da vicino la maniera di Claude Monet. Scopo di Klimt in questo periodo, infatti, era quello di ricercare una modalità espressiva meno sofisticata e più spontanea: egli rispose a quest’esigenza adottando una tavolozza più colorata, con cromatismi più accesi, e minimizzando l’uso dell’oro e delle linee. Nonostante i profondi mutamenti di questi anni, l’artista viennese fu espositore alla Biennale di Venezia nel 1910, vincendo pure nel 1911 il primo premio dell’Esposizione Internazionale di Arte di Roma con “Le Tre Età della Donna”.

L’11 gennaio del 1918 Klimt,  di ritorno  dalla  Romania, fu colto da un ictus, e  il 6 febbraio dello stesso anno, colui che dal 1900 aveva  dominato il panorama artistico nella capitale dell’Impero austro-ungarico, la  Vienna di Sigmund Freud, la Vienna della Belle Epoque, una città ammirata in tutto il mondo per le sue qualità e diversità artistiche e culturali, terminava la sua vita terrena, lasciandoci  una testimonianza di valori che  ancora oggi riesce a coinvolgerci, a parlarci, a emozionarci.

Carmelina Rotundo
Dal numero 148 – Anno IV del 22/2/2017