Mannocci, Recent Works in mostra a Palazzo Pitti
Promossa dalla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti e da Maschietto Editore, che ne pubblica il catalogo (€ 18 il prezzo), la mostra da camera dei Recent Works di Lino Mannocci trova un suo spazio ideale nell’intimità del Saloncino delle Statue del celebre museo fiorentino, aperta al pubblico fino al 3 maggio.
Si tratta di dodici opere inedite che sintetizzano gli ultimi quindici anni di attività dell’artista, confermandone il carattere onirico e visionario, oltre all’ascendenza metafisica e surreale che rimanda alle atmosfere esistenziali e agli abissali silenzi dei dipinti di De Chirico, Carrà, Sironi, Morandi.
Viareggino classe 1945, pittore e grafico, Mannocci si muove da tempo in uno scenario internazionale anche grazie a lunghi soggiorni e studi londinesi, al punto che le sue opere sono patrimonio di importanti collezioni pubbliche in Stati Uniti, Svizzera, Inghilterra, British Museum compreso.
Diviso tra Londra e l’Italia, all’inizio degli anni Ottanta è, con Sandro Luporini e il compianto Gianfranco Ferroni, uno dei talentuosi toscani del gruppo Metacosa, la cui matrice figurativa si distingue per il particolare spessore poetico e per la ricerca pittorica precisa e calcolata. “Metacosa”, scrisse Philippe Daverio, “fu l’inizio di una riflessione artistica e politica nel frangente d’un paese che passava dalle certe incertezze degli anni di piombo alle incerte certezze d’un ritorno all’ordine, anche formale”.
Mannocci, ricorda nel catalogo l’ex soprintendente Cristina Acidini, “porta un bel disegno e una buona pittura, dove la matita sul foglio, la tela sul cavalletto e, a volte, la macchina fotografica indagatrice e curiosa… sono gli strumenti di una personalità d’artista che guarda negli occhi e senza soggezione l’infinita genealogia dei pittori di anni e di secoli fa”.
La sua mistica, la sua nostalgia, si riflette nel natio mare versiliese, tradotto in mare post-metafisico, mare onirico per lo più in dimensioni verticali. Un mare muro, mare di pietra, come del resto alcune titoli delle opere apertamente dichiarano. La cifra identitaria è invece la magica geometria del quadrato che Mannocci arriva a declinare spazialmente e cromaticamente come un’asimmetrica polifonia in 5 quarti.
Acidini spiega: “Ora la tela (o la carta) è spartita nei quattro rettangoli oppure quadrati di un campo diviso; ora l’immagine si concentra nel campo ristretto di un quadrato rigorosamente concentrico al supporto quadro, col bordo vuoto d’ampio respiro tutt’intorno; ora nel quadrato centrale soprastante a uno minore allineato alla mezzeria verticale, che Mannocci definisce con antico termine, mutuato dall’arte sacra, predella”.
Sono solo alcune delle combinazioni spaziali ricorrenti nelle opere dell’artista, nel suo incessante lavoro di scomporre e ricomporre la sfida sempiterna proposta in particolare dal quadrato: “Figura geometrica la cui soverchiante perfezione giace sepolta nel nostro DNA mediterraneo con l’efficiente forma del castrum romano e che, nella millenaria cultura cinese, è attributo del Cielo”.
Nel suo contributo al catalogo lo storico dell’arte Vincenzo Farinella sostiene che ciò che ancora oggi distingue Mannocci è un’idea del dipingere molto alta, ambiziosa e arrischiata: l’idea che la pittura non è divertimento intellettuale, virtuosismo tecnico, ornamento, né battuta ironica, sberleffo o provocazione, bensì una scommessa sulla vita. Ovvero la pittura come un rimettersi continuamente in gioco, o come riflessione critica sull’uomo, sulla società e sulla storia.
Per Mannocci, scrive Farinella, la pittura è “un guardare in profondità, uno strumento per comprendere il mondo, per indagare nei misteri dell’esistenza. Come uno scienziato o un filosofo, il pittore intraprende un cammino di conoscenza, ma senza conoscere la meta, senza speranza, forse, di poterla davvero raggiungere: lo sguardo non si ferma sulla superficie delle cose, penetra oltre le apparenze, va sempre più nel profondo, come suggeriva Cézanne, sfiora e rivela regioni ignote”.
La mostra è patrocinata dal Ministero dei Beni Culturali e dalla stessa Galleria d’Arte Moderna ed è organizzata con il sostegno di Cassa di Risparmio di Lucca, Pisa, Livorno / Gruppo Banco Popolare, Coopservice. Collaborano l’Azienda vitivinicola Giuseppe Rinaldi Barolo e la Galleria Ceribelli di Bergamo.
Cecilia Chiavistelli
Dal numero 59 – Anno II del 8/04/2015
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