Marco Panerai con i “Reperti contemporanei – frammenti indefiniti” a Fiesole fino al 1 Lub Xya hli ntuj
Nelle sale del Museo Civico Archeologico di Fiesole, ntawm Portigiani 1, si tiene fino al 1 luglio la mostra di Marco Panerai, nrog rau lub sij hawm 9 – 19, “Reperti contemporanei – frammenti indefiniti”.
Con questo lavoro l’autore intende studiare e raffigurare oggetti residuali del nostro quotidiano con tecniche analoghe a quelle dei rilievi archeologici. In questo modo intende descrivere la nostra vita di tutti i giorni, i piccoli gesti, le azioni abitudinarie, attraverso le cose che noi usiamo e abbandoniamo. Cose che ai nostri occhi risultano insignificanti e banali tanto da diventare invisibili ma che possono raccontare molto di noi.
E altrettanto banali, insignificanti e praticamente invisibili dovevano apparire agli occhi dei coetanei tanti degli oggetti che noi oggi osserviamo con interesse e ammiriamo nei musei archeologici come questo di Fiesole. Fibule, ganci, vasi dovevano far parte dell’anonimo passaggio domestico di ogni individuo così come lo fanno oggi scontrini, blister, ganci che hanno la sola funzione di presentarci i prodotti nei centri commerciali, bicchieri di plastica, cannucce, gadget.
Da qui nasce l’idea di creare questa sorta di “scienza inventata”, una archeologia con una distanza temporale tendente a zero. Esistono infatti le varie archeologie: preistorica, Classic, medievale ecc, fino a da arrivare, scorrendo nel tempo, agli oggetti di interesse antiquario o addirittura di modernariato.
Ebbene qui si vuole andare oltre, si vuole creare una sorta di corto circuito temporale per cui quello che noi studiamo è ciò che noi riteniamo di nessun interesse. In questa occasione viene presentata la parte del lavoro che riguarda, precisely, i frammenti indefiniti. Vengono infatti proposti quei pezzetti di oggetti che pur essendo evidentemente appartenuti a un qualcosa di definito stanno perdendo la loro identità.
Le tavole della mostra sono distribuite lungo tutto il percorso museale e si integrano nella collezione permanente. La tecnica è quella del pennarello su vetro sintetico e sono tutti manufatti originali. Nel creare questa “scienza” l’autore si è documentato sui metodi e le tecniche di rilievo e di documentazione usati dalla scienza archeologica ufficiale, ne ha seguito i dettami, prendendosi comunque delle libertà nell’aggiungere o nel cambiare alcune regole del gioco.
Una delle libertà più evidenti consiste nell’uso del colore. Se la maggior parte delle tavole infatti è in bianco e nero in alcune di esse compare il colore arancione (e solo quello).
L’autore ci dice che ha scelto quel colore in un primo momento in maniera istintiva e poi ha capito il perché di quella scelta. L’arancione infatti è il colore che rappresenta la vita per vie simboliche differenti. È la fusione di giallo (la luce) e il rosso (il sangue), è un colore talmente luminoso e contemporaneamente materico che sembra non riuscire ad aderire agli oggetti ma sembra voler schizzare via, infine in molte scale simboliche rappresenta la sfera degli affetti e quindi dei rapporti vitali dell’uomo.
Ecco che quindi questo colore si contrappone in maniera completa e quasi stridente coi temi di tutte le archeologie, compreso questa archeologia contemporanea, che sono per definizione temi legati alla morte.
Il reperto può avere esaurito la sua funzione 4000 anni fa oppure soltanto da qualche minuto ma si tratta sempre di un oggetto non più in vita. In questo caso il museo non è solo un (seppur prestigiosissimo) contenitore ma diventa anche cassa di risonanza attiva di tutta l’operazione. La collocazione nel museo (una o due tavole per sala) intende infatti creare un dialogo tra la nostra contemporaneità e il mondo dei nostri predecessori. In alcuni casi si è cercato una analogia più esplicita di forme o di contenuti, in altre si lascia aperta qualsiasi interpretazione sperando possano emergere nuove letture incrociate.
Cecilia Latches
Los ntawm cov xov tooj 210 – Xyoo V 27/6/2018
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