Stop alla somministrazione nei circoli privati
È partita dalla Toscana la battaglia di Fipe, la Federazione italiana pubblici esercizi aderente a Confcommercio, contro la concorrenza sleale della ristorazione parallela.
Una battaglia che in questi giorni ha segnato una vittoria importante con l’Ordinanza n. 15475 della Corte di Cassazione sezione Tributaria, che ha stabilito che un ente senza scopo di lucro non può esercitare l’attività di somministrazione, anche se rivolta solo ai propri soci, dietro pagamento di corrispettivi specifici che eccedano i costi vivi, poiché questo nulla ha a che vedere con i fini istituzionali.
“In pratica, la Cassazione ha stabilito che per beneficiare dei vantaggi fiscali riservati agli enti non commerciali, l’attività di somministrazione svolta da circoli privati non solo deve essere rivolta esclusivamente agli associati – vincolo facilmente eludibile con la consegna contestuale della tessera associativa a chi entra nel locale – ma deve anche essere priva di ricavi”, spiega il presidente regionale di Fipe-Confcommercio Toscana Aldo Cursano .
“Finalmente – prosegue Cursano, che è anche vicepresidente vicario della Fipe nazionale – l’Ordinanza della Cassazione riconosce un principio sacrosanto per il quale ci siamo sempre battuti, quello dello ‘stesso mercato stesse regole’. Fino ad oggi esistevano due piani: quello di chi fa ristorazione rispettando tutte le normative fiscali e quello di chi, gestendo circoli culturali, sociali e ricreativi, è esentato dalle leggi applicate a tutti gli altri operatori. A loro solo il profitto e i benefici, a noi imprenditori i costi, gli oneri e i problemi”.
“Non è più tempo di figli e figliastri: era l’ora di dire basta a chi trova escamotage per mascherare il proprio business svuotando di significato istituzioni nobili come le associazioni senza scopo di lucro. Noi, infatti, non siamo contro i circoli privati di per sé, come non siamo contro le vere sagre, che anzi fanno bene alle imprese e al territorio. Ma vogliamo tutelare i consumatori e garantire una concorrenza leale nel settore: è giusto che chiunque voglia somministrare cibo e bevande dietro compenso lo faccia nel rispetto degli stessi diritti e degli stessi doveri delle imprese”, ribadisce il presidente della Fipe toscana Cursano.
La questione della concorrenza sleale in Toscana è sempre stata particolarmente accesa, vista la numerosa presenza di sagre, feste paesane, circoli e associazioni. “Ecco perché noi ristoratori toscani siamo stati fra i primi in Italia a segnalare il problema, già venti anni fa”, sostiene Cursano.
I circoli culturali, ricreativi e sportivi censiti dall’Istat in Toscana sono oltre 19mila (19.094). Per la maggior parte (26%, 5.115 in valori assoluti) sono concentrati in provincia di Firenze, seguono con la più alta presenza le province di Pisa (12%), Lucca (11,5%) e Arezzo (9,5%). Ad averne meno di mille c’è solo la provincia di Massa Carrara (863, il 4,5% del totale regionale). I pubblici esercizi sono invece oltre 22mila in tutta la regione, fra bar e caffè (circa 9mila), ristoranti e altre attività di ristorazione (circa 13mila).
Oltre un terzo dei circoli attivi in Toscana fa attività commerciale (“market”), presentando un rapporto fra ricavi e costi superiore al 50%. Facile capire come i ricavi provenienti dalla vendita di beni e servizi siano la loro fonte prevalente di finanziamento. E allora perché, si chiede da sempre Fipe-Confcommercio, non sono obbligati a rispettare gli stessi oneri delle imprese della ristorazione, ma anzi possono godere di molte agevolazioni?
“L’Agenzia delle Entrate si era già esposta a nostro favore, tenendo in considerazione l’impatto sui fatturati dovuto alla concomitanza di eventi di somministrazione parallela in certi periodi dell’anno”, ricorda il presidente di Fipe Toscana, “ora dalla Corte di Cassazione ci arriva un altro assist importante. Adesso, chiediamo che le istituzioni competenti e gli organi preposti al controllo si impegnino a far rispettare la legalità, affinché quanto scritto non rimanga lettera morta. Devono dimostrare con i fatti da che parte stanno, se da quella di chi prende le scorciatoie per andare avanti o da quella di chi si impegna ogni giorno per formare il tessuto sano della nostra società”.
Fipe valuta l’impatto economico della concorrenza sleale in oltre 5 miliardi di euro di fatturato all’anno, a livello nazionale: “una vera e propria industria parallela che drena risorse e ricchezza a tutti gli italiani, non solo alle imprese. Imprese che, a scanso di equivoci, sono le uniche a creare vera occupazione”, conclude Aldo Cursano.
Mattia Lattanzi
Dal numero 214 – Anno V del 25/7/2018
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