Cardenal Betori: pronto agli ultimi 14 mesi come Arcivescovo e con una speranza di ripresa per la città
Nonostante l’emergenza sanitaria, il Cardinale Giuseppe Betori non ha voluto annullare il tradizionale incontra con i giornalisti per lo scambio degli auguri, e così invece che ritrovarsi tutti in persona nel Palazzo Arcivescovile l’incontro si è tenuto virtualmente sulla rete, non per questo togliendo nulla alla profondità e sincerità delle riflessioni del porporato, che ai fiorentini ha rivolto il seguente messaggio/invito: “Fiducia, L'esperança, Amore”.
L’Arcivescovo di Firenze, rispondendo in particolare a delle specifiche domande poste dal sottoscritto, ha detto che invierà, come prevede il Codice di Diritto Canonico, le sue dimissioni al Papa a fine 2021 ,dato che a febbraio 2022 compirà 75 anys.
“A febbraio 2022 compirò 75 anys: qualche mese prima di questa data darò al Papa la mia disponibilità a mettermi da parte perché lui possa provvedere alla chiesa di Firenze, poi io sono pronto a tutto, a smettere il 26 Febrer 2022, a continuare se il Papa lo vorrà. Faccio sempre nella mia vita quello che mi è stato detto dai miei superiori. Il mio superiore unico in questo momento è il Papa, e a lui starà la scelta che è una scelta che riguarda sia la condizione della persona che la condizione della Diocesi. Quindi non mi metto al posto del Papa, ha la mia disponibilità con molta semplicità”.
I prossimi suoi “ultimi” 14 mesi saranno intensi, amunt, se, rispondendo ad una mia specifica domanda, come si augura Betori, a settembre potrà riprendere la visita pastorale.
“Questo 2020 – ha voluto evidenziare Betori – ha fatto riscoprire la fragilità della condizione umana, le cose essenziali, che solo insieme si esce dalle crisi. Viviamo questo Natale come un dono, anche nel nucleo familiare ristretto come dicono le misure del governo. Viviamolo con fiducia, con coraggio, con speranza, con amore l’uno verso gli altri. Natale è la nascita del figlio di Dio da una donna; e ci dice che nulla a questo mondo è impossibile».
Con l’emergenza covid la Chiesa fiorentina si è ritrovata in prima linea, riformulando “la proposta della vita di fede delle famiglie, costrette ad astenersi dalla vita di relazione, anche se poi, proprio per questo, tornate protagoniste della vita ecclesiale, laddove, primer, erano fin troppo assorbite dal contesto comunitario. Nonostante questo il clero fiorentino, con molta buona volontà, è riuscito a iniziarsi al linguaggio del web, sebbene l’online non possa certo sostituire i rapporti personali, e tantomeno la messa, che è tale solo se partecipata fisicamente, in presenza”.
El 2020 è stato sicuramente l’anno record per l’attività caritativa della diocesi fiorentina, con la Caritas che ha triplicato la consegna di pacchi- viveri, e il Centro missionario medicinali che ha consegnato in Toscana farmaci gratuiti quanti in tutta Italia nel 2019. “Ora c’è urgente bisogno di più risorse. Ad oggi si è potuto contare sui fondi arretrati del l’8 per mille erogati in via eccezionale dalla Cei. Non so chi abbia ancora in animo di contestarlo, l’8 per mille, che copre oltre l’80% dei nostri aiuti, altrimenti a carico solo dei Comuni, manon credo arriveranno anche nel 2021”.
Betori ha invitato la città del post Covid a ripensare a come offrirsi al mondo, “senza rinunciare alla sua identità e alla sua bellezza, non certo da chiudere in una scatola, non dovrà nemmeno aprirsi all’impatto massivo di prima. C’è bisogno di un turismo lento, llum, più umano per usufruire della bellezza: credo che questa dovrebbe essere la strada da prendere. L’esempio delle sale riallestite del Museo di San Marco è quello da seguire. Potremo riprendere una strada forse meno remunerativa, ma capace però di salvaguardare la nostra identità senza rinchiuderci. Non dobbiamo rinunciare alla nostra identità, che è anche un’identità di bellezza che viene offerta a tutti: non vorrei diventare una scatola chiusa per pochi. Però è chiaro che le modalità massive di una volta non potranno più esserci: non è che il nostro obiettivo può essere ritornare a quel tipo di fruizione di massa, anche caotica, di cui ero spesso testimone guardando delle finestre del mio arcivescovado, occorre ripensarlo. Il messaggio non può essere venite e fate quello che vi pare”.
Gli ultimi mesi del suo episcopato fiorentino, li vivrà con una ferita aperta visto che “il prossimo anno non ci sarà nessuno che entra in seminario. La considero una delle ferite più grosse del mio episcopato, perché feci un’ordinazione di sette nuovi preti, l’anno successivo al mio ingresso nel 2009, e quest’anno non ne ho fatto nessuno. È una situazione veramente tragica, gravissima, e do una mia interpretazione: non è meno tragica di quella dei matrimoni, e in genere dei progetti di vita. Il problema della crisi vocazionale al sacerdozio sta all’interno di una crisi vocazionale della persona umana. La cultura nella quale viviamo è una cultura del provvisorio, e una vita che vuole tante esperienze non può essere una vita che si consacra a uno scopo. Vale per il matrimonio, per il sacerdozio, per tutte le scelte delle persone. La condizione del prete oggi è meno attraente rispetto a quello che poteva essere in passato, e certe vocazioni forti — sia alla vita del sacerdozio ma anche all’impegno laicale come con gli scomparsi don Corso Guicciardini e Ghita Vogel — è chiaro che oggi trovano meno humus”.
Frank Mariani
Pel nombre 323 – Anno VII del 23/12/2020
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