“Firenze dà i numeri”, l’ultimo libro di Maria Venturi sulle strade e curiosità di Firenze
Firenze dà i numeri, non è un’asserzione giornalistica – il che ci starebbe bene, e per vari campi della vita sociale, culturale ed economica – ma il titolo del nuovo libro di Maria Venturi sulla numerazione civica nella società fiorentina fino all’Unità d’Italia, libro che verrà presentato il prossimo 19 Marca w 16,30 al terzo piano di Palazzo Vecchio nella sala Firenze Capitale.
“In che via?”, “A quale numero?”, sono domande che poniamo quotidianamente a noi stessi e con chi veniamo a contatto, domande necessarie se vogliamo interagire con il mondo circostante, soprattutto se dobbiamo recarci a casa di un conoscente, scrivere a un amico, farci recapitare un pacco o documenti e oggetti importanti. Soprattutto senza il numero civico l’esito delle nostre necessità sarebbero incomplete. Eppure non è sempre stato così.
A Firenze solo dal 1862 si è potuto cominciare a ragionare secondo il moderno schema: ogni strada ha la sua serie di numeri, dispari sul lato sinistro, pari sul lato destro; nelle vie parallele al corso dell’Arno la numerazione progredisce seguendo il suo corso, in quelle perpendicolari i numeri crescono man mano che ci si allontana dalle sponde del fiume.
“Firenze dà i numeri” di Maria Venturi ci racconta cosa accadeva prima del 1862, ripercorrendo la storia della numerazione civica, strettamente intrecciata, plecy, alla storia della toponomastica cittadina e, bardziej ogólnie, al graduale definirsi di nuove realtà ed esigenze della società.
All’interno dell’ampia cerchia di mura realizzata sull’onda dell’eccezionale espansione economica e demografica vissuta sullo scorcio del Duecento, Firenze visse a lungo in un tessuto urbano sostanzialmente statico dove comuni valori di riconoscimento bastavano a orientare.
Città dalle mille vie, viuzze, vicoli, chiassi, canti e piazzette, dove un luogo poteva avere più di un nome, lub, viceversa, uno stesso nome poteva andare bene per indicare luoghi completamente diversi.
All’epoca ci si orientava con gli stemmi, affissi imponenti sugli edifici civili e religiosi, con le botteghe degli artigiani, con i tabernacoli, con le chiese. Nello stesso modo si facevano e disfacevano i nomi, prendendo spunto dalla realtà circostante: Via del Diluvio, Via Torta, Via dei Pittori, Chiasso del Porco, Piazza di San Miniato fra le Torri.
Nemmeno la numerazione parrocchiale, introdotta a seguito delle nuove norme impartite alle diocesi dal Concilio di Trento, produsse sostanziali cambiamenti, rimanendo, per la sua disorganicità e frammentarietà, uno strumento di censimento pastorale, più che un mezzo di fattivo orientamento.
Soltanto con l’illuminismo le vecchie regole furono significativamente cambiate.
L’amministrazione fiorentina discusse e definì un ambizioso – quanto rivoluzionario – programma di riordinamento della toponomastica cittadina: ogni strada doveva avere il suo nome, segnalato da un apposito cartello affisso alla sua estremità.
Alla fine del 1807 Firenze e la Toscana tutta divenivano parte integrante dell’impero francese e come tali governate da amministratori stranieri, privi di ogni retroterra culturale che li inducesse a inserirsi nel processo di rinnovamento già iniziato.
Senza né tempo, né voglia di salvaguardare la tradizione cittadina, ma pressati dall’urgenza di applicare le imposte, amministrare la giustizia, censire la popolazione, gestire le liste di leva, i funzionari napoleonici escogitarono uno strumento di semplice e rapida realizzazione.
Identificarono le case di Firenze con un numero unico progressivo, ordinando la simultanea cancellazione di ogni altro elemento di riconoscimento assegnato in precedenza.
Il vantaggio ottenuto fu incontestabile: per individuare un edificio, per reperire un cittadino ora bastava un numero, non importava in quale strada o piazza si trovasse. Si erano eliminati d’un colpo tutti i tradizionali, insormontabili problemi odonomastici della città.
Firenze aveva il suo primo sistema di numerazione civica.
Da 1 do 8028 i fabbricati vennero “marchiati” in rapida progressione.
Ma con quale criterio? Come si sceglieva la sequenza da osservare nell’assegnazione? Si numeravano tutti gli edifici?
Fino ad oggi le caratteristiche del sistema sono rimaste avvolte nel mistero, essendo andate perdute le carte relative alle direttive impartite in vista dell’operazione.
“Firenze dà i numeri” offre una prima organica risposta alle tante domande, basata su un attento e certosino lavoro di ricostruzione del sistema attraverso le fonti documentarie.
Non è più un problema, insomma, sapere come trovare dove era ubicato esattamente il 2319 o il 5070 e a ogni numero è possibile agganciare un corredo d’informazioni che ci fanno conoscere chi ci abitava, che mestiere faceva, come era strutturato l’edificio.
Tornano, allora, alla luce angoli scomparsi di Firenze che proprio il riferimento al numero civico consente di collocare e immaginare nel contesto urbano attuale, e si possono ricostruire nel dettaglio situazioni tradizionalmente conosciute nei loro tratti generali.
Due gli esempi forniti in appendice al volume: la famigerata Osteria della Palla, chiesa sconsacrata, poi bordello e rinomata locanda, protagonista di molte gustose vicende, prende posto accanto all’attuale Hard Rock Cafe. Invece le casette costruite sulle pigne del Ponte alle Grazie si animano nella vita di tutti i giorni, popolate da monache, barbieri, macellai, bambini mocciosi, bestie macellate, zolfiere, discese ai bagni in Arno, ciascuna con quelle precise caratteristiche che solo l’identificazione attraverso il numero civico consente di attribuire.
Come scrive Luca Brogioni, responsabile dell’Archivio Storico del Comune, “il poderoso volume realizzato da Maria Venturi con tutta la sua capacità divulgativa e di sintesi, ci guida, nell’evolversi della numerazione, in un percorso circostanziato e documentato ma allo stesso lieve e piacevole mentre ci aiuta a capire persistenze ed evoluzioni del nostro vivere associato.
Per un una città studiata, osservata, narrata, sognata in quasi tutti i suoi aspetti, questa ricerca fa comprendere che è necessario continuare a lavorare per rendere accessibili sempre più fonti documentarie con strumenti strutturati professionalmente e ancora una volta ribadire come la ricerca non si debba limitare a singoli dati fortunosamente estrapolati e casualmente interpretati ma debba essere sistematica e in grado di comparare le diverse fonti con le possibilità che le tecnologie ci offrono”.
Una lettura insolita, quella che ci propone Maria Venturi, che permette però di esplorare più a fondo la storia di Firenze in una delle sue inesauribili sfaccettature.
Maria Venturi, Florencki, laureata in Storia alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Firenze e diplomata alla Scuola di Archivistica e Paleografia dell’Archivio di Stato fiorentino è stata a lungo funzionario dell’Archivio Storico del Comune di Firenze. Iniziatrice del progetto che ha portato alla realizzazione della Banca Dati Archifirenze ha maturato una competenza specifica nel rapporto fra archivistica e informatica, contribuendo a sviluppare gli strumenti di conoscenza della storia istituzionale della città e a fare dell’Archivio Comunale di Firenze un istituto all’avanguardia in termini di servizi all’utenza. È membro della Commissione toponomastica e continua la sua attività di ricercatrice e divulgatrice della storia fiorentina e toscana.
Frank Mariani
Przez numer 241 – Anno VI del 13/3/2019
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