Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2019: Messa del Card. Betori
Cardinal Giuseppe Betori, Archesgob Florence, Dydd Sul 2 giugno ha celebrato in Duomo a Firenze la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali 2019.
Questo il testo integrale dell’Omelia:
L’Ascensione del Signore, in quanto ultimo atto che dà compimento alla missione del Figlio di Dio nel tempo, rischia di essere percepita nel cuore dei credenti come un distacco, l’inizio di un’assenza, il venir meno di un dono che aveva colmato di gioia un mondo ora lasciato a se stesso.
Questo sentimento di vuoto, di privazione sembra di poter scorgere nello sguardo degli apostoli: «Essi stavano fissando il cielo mentre egli [il Signore] se ne andava». Un atteggiamento che si merita un rimprovero: «Due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”» (At 1,10-11). Una parola che svela come l’ascesa di Gesù al Padre non segni la fine della storia di Dio con gli uomini, ma apra un nuovo capitolo, che si compirà alla fine dei tempi con il ritorno di Gesù, che allora si rivelerà Signore della storia.
Ascendendo al cielo, Gesù torna al Padre, in obbedienza al quale era giunto tra noi, per condividere la condizione umana fino al dramma della morte, riscattarla nel dono di sé sulla croce e trionfare su di essa nella risurrezione. Dell’umanità redenta Gesù è la primizia, in quanto in cielo egli giunge con il suo corpo glorioso, facendolo partecipe della gloria divina, anticipazione degli uomini e delle donne che, condividendo la sua Pasqua, giungeranno anch’essi a condividere la pienezza della vita divina per l’eternità. Lo spiega la Lettera agli Ebrei, che ci ha parlato dell’ingresso di Cristo nel cielo «per comparire ora al cospetto di Dio in nostro favore» (Eb 9,24). Il Risorto ha preso le vesti dell’intercessore e mediatore della salvezza per l’umanità tutta. E questo in attesa del giudizio finale, quando egli, sempre secondo la Lettera agli Ebrei, «apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l’aspettano per la loro salvezza» (Eb 9,28).
E nel frattempo? Se Gesù non ci abbandona, ma continua a essere il nostro riferimento, in quanto compimento della storia, nei giorni della nostra vita come possiamo immaginare il nostro rapporto con lui? Egli non è più una figura visibile che si pone accanto a noi, ma non è meno presente alla nostra vita. Egli infatti ci dona il suo stesso Spirito; diventa parte della nostra esistenza, l’anima nuova di essa. Il dono dello Spirito è la condizione nuova dei credenti dopo la Pasqua, la radice della loro vita nuova. È questa la promessa che il Padre ci fa e che Gesù compie: «Ecco, io mando su di voi colui che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall’alto» (Lc 24,49).
A questo dono è connessa una missione, cioè essere testimoni di Gesù e del suo Vangelo davanti a tutti gli uomini: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8). Essere testimoni di Gesù significa affermare la certezza della sua vittoria sulla morte e guardare al mondo nella luce della risurrezione: vivere cioè con il coraggio di dire la verità del Vangelo su Dio e sull’uomo, di comunicare agli uomini nei sacramenti la grazia, l’amore di Dio, di porre nel mondo gesti di vita e di speranza per tutti mediante la carità.
Animati dallo Spirito, noi diventiamo la presenza storica di Gesù nel mondo. Perché se è vero, come ribadisce la Lettera agli Ebrei, che il nuovo santuario della presenza di Dio e della sua lode e santificazione, non è più un tempio fatto di pietre in cui si compiono sacrifici di animali, ma è il corpo stesso di Cristo, quel corpo in cui si è consumato il sacrificio che ci ha salvati, noi sappiamo che, dopo l’ascensione di Cristo, il suo nuovo corpo, ciò che lo rende visibile nel mondo, è costituito dalla comunità dei suoi discepoli, dalla loro umanità.
La comunità dei discepoli di Cristo è un’esperienza di comunione che riflette la vita stessa di Dio, che è comunione del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. A questa natura comunionale dell’esperienza cristiana si richiama il Santo Padre nel Messaggio per l’odierna Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, in cui al titolo tratto dalla lettera di Paolo agli Efesini «Siamo membra gli uni degli altri» (Ef 4,25) ha posto come sottotitolo questa espressione che suona come un invito: «Dalle social network communities alla comunità umana». Papa Francesco invita a prendere coscienza della grande influenza che la comunicazione mediante internet sta avendo nella nostra società. «Le reti sociali – avverte il Papa – se per un verso servono a collegarci di più, a farci ritrovare e aiutare gli uni gli altri, per l’altro si prestano anche ad un uso manipolatorio dei dati personali, finalizzato a ottenere vantaggi sul piano politico o economico, senza il dovuto rispetto della persona e dei suoi diritti». Non si vuole demonizzare uno strumento che è «fonte di conoscenze e di relazioni un tempo impensabili», ma occorre essere consapevoli che la rete «può anche potenziare il nostro autoisolamento, come una ragnatela capace di intrappolare», aggregando solo i simili e fomentando spirali di odio.
Per correggere queste deviazioni, il Papa invita e riscoprire la natura vera della comunità, fatta di incontro nella ricerca della verità, nella capacità di comprensione e di accoglienza, nella condivisione e nel dono. Scrive ancora il Papa: « Il contesto attuale chiama tutti noi a investire sulle relazioni, ad affermare anche nella rete e attraverso la rete il carattere interpersonale della nostra umanità. A maggior ragione noi cristiani siamo chiamati a manifestare quella comunione che segna la nostra identità di credenti. La fede stessa, yn wir, è una relazione, un incontro; e sotto la spinta dell’amore di Dio noi possiamo comunicare, accogliere e comprendere il dono dell’altro e corrispondervi». E conclude così: «[Aprire] la strada al dialogo, all’incontro, al sorriso, alla carezza… Questa è la rete che vogliamo. Una rete non fatta per intrappolare, ma per liberare, per custodire una comunione di persone libere. La Chiesa stessa è una rete tessuta dalla comunione eucaristica, dove l’unione non si fonda sui “like", ma sulla verità, sull’“amen", con cui ognuno aderisce al Corpo di Cristo, accogliendo gli altri».
Riprese video e foto di Franco Mariani.
Franco Mariani
Dal numero 251– Anno VI del 5/6/2019
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