Mostra “Don Milani il mio Maestro”
Don Lorenzo Milani oggi più vitale che mai. A quasi 50 anni dalla sua morte l’Accademia di Belle Arti ne rilancia il messaggio con una mostra di dipinti e disegni realizzati da otto allievi, tanti quanti i ragazzi contadini della scuola di Barbiana che per suo conto scrissero il celeberrimo, rivoluzionario, “Lettera a una professoressa”.
Allestita a due passi dall’Accademia, nel Chiostrino della Basilica di San Marco, “Don Milani il mio maestro” resterà aperta liberamente fino al 3 Jiyè, ak oraryo 10-13 ak 16-19 dal lunedì alla domenica, chiusa solo martedì e giovedì pomeriggio.
L’idea è del gruppo Progetto Lorenzo-Ars del Centro Formazione e Ricerca don Lorenzo Milani e scuola di Barbiana. I curatori sono Adriano Bimbi e Mauro Pratesi.
Alla presentazione stampa e alla cerimonia inaugurale hanno partecipato anche il preside e il direttore dell’Accademia, Luciano Modica ed Eugenio Cecioni, insieme a una vasta rappresentanza del mondo, fiorentino e non, che continua a vedere nella vita e nell’opera del priore di Barbiana una lezione pastorale, culturale e sociale difficilmente dimenticabile.
Ne è testimone la stessa folta platea di patrocinanti (Regione, Komen, Provincia, Arcidiocesi tra gli altri) e quella, altrettanto folta, degli sponsor che, nel nome don Milani accomuna enti pubblici, sindacati, grande distribuzione e imprenditori nel sottolineare il valore ecumenico della sua esperienza. Il presidente di Confindustria Firenze Simone Bettini ha anche contribuito al catalogo Polistampa con un significativo episodio in tema di lavoro e impresa.
Nelle oltre 40 opere dell’esposizione rivive dunque lo spirito di Barbiana in omaggio alla nota passione e agli studi artistici di don Milani. “L’arte”, ricorda una nota di Progetto Lorenzo-Ars, “vibrò forte nel suo cuore e, come egli ebbe a dire al suo maestro di pittura Hans Joaquim Staude, che si meravigliava della sua decisione di farsi prete, la colpa era dell’arte e della pittura… L’arte come porta d’accesso alle divine cose, Se poutèt sa. E altresì come linguaggio atto al dispiegamento estemporaneo dell’anima e, nondimeno, essenziale complemento alle espressioni verbali e agli atti profani”.
Non si tratta comunque di una banale operazione nostalgia, giacché la mostra intende semmai riproporre il metodo Barbiana nei suoi significati più profondi, sia per ciò che riguarda il peso attribuito all’istruzione (“La scuola sarà sempre meglio della merda”), sia nella valutazione di quel che si è e di quel che si fa in rapporto a un sistema e a un mercato i cui valori hanno spesso quale unico metro il potere delle convenzioni e quello del business.
“Fattori”, spiega Pratesi nel catalogo, “che ci riguardano e che hanno sicuramente un peso determinante per chi si accinge a proporsi e a essere giudicato in base al proprio lavoro e che da questo sistema così sullodato sarà, certamente, ignorato. Tuttavia non dimentichiamo la lezione di Barbiana! Anche in quel caso erano allievi esclusi e fatti fuori dal sistema, ora tutti ne parlano, alcuni anche un po’ troppo a sproposito”.
Ecco quindi in mostra un caleidoscopio di oggetti e figure frutto di ispirazioni, tecniche e stili diversi che richiamano comunque un universo popolare: arnesi da lavoro, sezioni di banchi di scuola d’antan, cancelleria, grembiuli e pettinature, interni di abitazioni, gwoup, volti maschili e femminili di ogni età fissati per sempre in un attimo della loro giornata.
I nomi degli artisti: Giulio Bonatti, Stefano Ceserato, Luca Corti, Stefano Galli, Andrea Mancini, Debora Piccinini, Giuseppe Sciortino, Elisa Zadi. Firenze è solo la loro prima tappa: l’esposizione sarà riproposta in varie sedi in tutta Italia.
Cecilia verou
Soti nan nimewo a 70 - Ane II 24/06/2015
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