Quando il Vescovo di Firenze sposava la Badessa di San Pier Maggiore
Tutti lo sanno, preti, vescovi e suore non possono sposarsi.
Eppure fino fino al 386 era loro concesso.
La norma del celibato, spessissimo disattesa durante il medioevo, divenne vincolante solo nel 1564 con il Concilio di Trento.
Tuttavia Firenze fino al 1585 ebbe una particolare dispensa, in quanto il Vescovo aveva l’obbligo, al suo ingresso in diocesi, di sposarsi con una donna ben precisa, la Badessa del monastero benedettino di San Pier Maggiore.
Matrimonio mistico era chiamato, perché non prevedeva la “consumazione”, ma che il prelato “infilasse nel suo dito l’anello nunziale e passasse una notte nel monastero”.
Le monache di quel monastero erano conosciute, e temute, per la loro “tenacità ed una certa tal qual arroganza”.
Papa Eugenio IV, in occasione del Concilio che si tenne a Firenze nel 1439, dette il privilegio dell’uso del pastorale, concesso principalmente ai vescovi, anche alla Badessa di questo Monastero.
Il matrimonio, su cui gli arguti fiorentini non mancarono di sbizzarrirsi in “frizzi e barzellette salaci”, doveva simboleggiare il matrimonio che il Vescovo contraeva con la chiesa fiorentina.
Una sorta di matrimonio istituzionale, a cui i due, anche se non si piacevano, o non piaceva loro l’idea, questo le cronache non lo dicono, dovevano assolutamente assoggettarsi.
Si ignora l’origine di questa cerimonia, che si celebrava “ad immemorabili” e in cospetto di tutto il popolo, e che cessò con l’elezione del Vescovo Alessandro de’ Medici nel 1585, futuro Papa Leone XI.
Sono oltre 30 i Vescovi, tra cui Sant’Antonino Pierozzi, che hanno sposato la “propria” Badessa, mentre notizie certe non ne abbiamo per altri 23 prelati, visto che il monastero sorse nell’XI secolo.
Addirittura la Repubblica ne decretò le regole con Partito del 23 Yanvar 1385, rogato dal notaio Ser Giovanni di Silvestro Neri.
Prima di queste si seguivano quelle redatte nel 1301 da Madonna Filippa, Badessa del monastero.
Arrivato a cavallo nella chiesa del monastero, il Vescovo doveva sedersi sulla sedia per lui preparata sotto un “baldacchino ricchissimo di tela d’oro a fogliami”.
Accanto trovava una sedia più piccola, coperta di velluto verde, per la Badessa, sua promessa sposa.
All’ingresso della Badessa, mentre le altre monache, tutte “velate di nero e bianco con il loro abito” stavano in coro, il Vescovo la doveva aiutare a sedersi e dopo averle parlato, la sposava mettendole al dito anulare della mano destra un anello di gran valore.
Terminata la cerimonia, e pranzato, si ritirava nella camera a lui destinata, harada, come ogni sposo, doveva passare la prima notte.
Tale camera doveva essere preparata secondo un rigido cerimoniale, di cui si trova dettagliato elenco, e con degli accorgimenti per il letto ben precisi.
Il giorno dopo il Vescovo si recava in Duomo per prendere possesso della diocesi, ma a piedi, come se “dovesse scontare un gran peccato”.
L’usanza che il vescovo passasse la notte in monastero fu poi sostituita da un solenne corteo, “con grande strepitio di trombe” che si teneva nel pomeriggio, quando la Badessa si recava al palazzo vescovile per donare al suo sposo, su un carro, un letto “fornito d’ermisino cremisi con trina d’oro, rifatto con finissime lenzuola gentilmente lavorate con ogni altra sua appartenenza” del valore di duegento scudi.
Sembra che anche il Vescovo di Pistoia, come attestato da una minuziosa cronaca del 1561, avesse l’obbligo del matrimonio mistico, e anche lui con la Badessa del monastero locale di San Pietro.
Non a caso un antico proverbio, “le ragazze piangono con un occhio, le maritate con due, e le monache con quattro”.
Nel contesto di questa suggestiva cerimonia si inserisce il privilegio accordato ad una delle più nobili famiglie fiorentine, gli Strozzi.
A questa infatti era concesso, in qualità di “custodi ed avvocati del Vescovato”, di appropriarsi dei ricchissimi finimenti della cavalcatura del Vescovo, una volta che questi, arrivato a San Pier Maggiore, ne scendeva.
Gli Strozzi portavano questi ricchissimi trofei al loro Palazzo e li esponevano per molti giorni alle finestre a significare la peculiare distinzione loro riservata.
Questo privilegio non fu sempre appannaggio della famiglia Strozzi: inizialmente il ruolo di accompagnatori e garanti del nuovo Vescovo era riservato ai Vicedomini, che ottenevano poi la bardatura del cavallo, eccetto per la sella ed i finimenti, che spettavano invece alla famiglia Del Bianco.
Franco Mariani
Sayı 1 - Il I 15/01/2014
Bizi izləyin!