Shoah: Cardinale Dalla Costa ‘Giusto fra le Nazioni’ per aver salvato centinaia di vite
Il Cardinale Elia Dalla Costa, Arcivescovo di Firenze durante il secondo conflitto mondiale salvò centinaia di ebrei fiorentini, i no només. dalla persecuzione nazista, esplosa dopo l’occupazione dell’Italia nel settembre 1943, e per questo Israele gli ha consegnato la medaglia alla memoria di ‘Giusto fra le Nazioni’.
Mercoledì scorso nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, l’ Ambasciatore di Israele presso la Santa Sede, Zion Evrony, lo ha insignito alla memoria con la medaglia dei Giusti consegnata nelle mani di un nipote che porta il suo stesso nome.
Alla cerimonia erano presenti, entre d'altres, l’assessora all’educazione Cristina Giachi, l’attuale Cardinale Arcivescovo di Firenze, Mons. Giuseppe Betori, la presidente della comunità ebraica di Firenze Sara Cividalli e il rabbino di Firenze Rav YosefLevi .
“Personaggi come Elia della Costa sono veri e propri fari che ci indicano la strada da seguire – ha sottolineato l’assessora Giachi nel suo saluto – il suo nome è scolpito nel cuore della memoria dolorosa della Shoa ed è scolpito come un punto di luce, uno dei tanti, che costellano il ‘Muro dei Giusti’. Questo ci riempie di orgoglio ma anche di responsabilità, soprattutto nei confronti dei più giovani. Dobbiamo essere all’altezza di figure come quella del cardinale Dalla Costa che hanno reso grande la nostra città”
“Sono onorata e grata – ha proseguito – che Firenze possa essere protagonista con una storia luminosa come quella di Elia della Costa, una storia luminosa nel buio dei valori che, in quegli anni, attraversava tutto il nostro continente. Grazie a uomini come lui, al loro coraggio e alla loro generosità è stato possibile non lasciare l’ultima parola al male, alla furia gratuita cieca che pure ci aveva sovrastati. Il suo esempio ci indica una strada chiara da seguire”.
Il Cardinale Dalla Costa organizzò una vera e propria rete clandestina di salvataggio della quale faceva parte anche Gino Bartali, il fuoriclasse che in quegli anni faceva da staffetta tra Firenze e Assisi, dove una tipografia stampava documenti falsi che nascondeva nella canna della bicicletta.
Dopo il rastrellamento nel ghetto di Roma, la 16 ottobre del 1943, e la deportazione di 1.021 ebrei nei campi di sterminio (tornarono in 17), il vice del capitano Theodor Dannecker, Alvin Eisenkolb, aveva organizzato altri due rastrellamenti a Firenze, la 6 i la 26 novembre del ’43.
Fu allora che il cardinale Dalla Costa incaricò il parroco di Varlungo, don Leto Casini, e il padre domenicano Cipriano Ricotti di coadiuvare il Comitato di assistenza ebraico (che agiva da terminale degli aiuti internazionali forniti dalla ‘Delegazione per l’assistenza degli emigranti ebrei, la Delasem’) per mettere al sicuro i profughi ebrei nei vari monasteri e istituti religiosi della diocesi. Dell’organizzazione, entre d'altres, facevano parte anche monsignor Giacomo Meneghello, Gino Bartali e, dalla parte ebraica, Raffaele Cantoni, Giuliano Treves e Matilde Cassin.
A Firenze e dintorni, su ordine diretto dell’arcivescovo, si aprirono le porte di almeno ventuno conventi e istituti religiosi, più varie le parrocchie, per nascondere centinaia di ebrei braccati dai nazisti.
Questo il saluto del Cardinale Giuseppe Betori agli intervenuti alla cerimonia:
Permettete una confidenza personale: è in momenti come questi che un arcivescovo di Firenze sente tutto l’onore e al tempo stesso tutta la responsabilità del compito che gli è stato affidato in questa città. L’onore di sentirsi inserito in una storia di pastori di questa Chiesa fiorentina in cui non mancano figure che hanno testimoniato con particolare esemplarità il loro servizio al Vangelo e all’uomo; la responsabilità di dover dare oggi continuità a questo servizio il meno indegnamente possibile. È un duplice sentimento che acquista una profondità tutta speciale quando il confronto è con quel grande pastore della Chiesa di Firenze che è stato il cardinale Elia Dalla Costa. Lo è in un modo tutto particolare quest’oggi, in cui facciamo memoria della sua azione a favore della salvezza della vita di numerosi figli del popolo ebraico, mentre una istituzione qualificata dello Stato d’Israele, dedicata alla memoria della Shoah, gli riconosce il titolo biblico di “Giusto fra le Nazioni”.
La grandezza del cardinale Elia Dalla Costa è un dato acquisito per la coscienza della Chiesa cattolica fiorentina, che ne ha proposto la beatificazione, come pure per la coscienza della città di Firenze, che sa quanto gli deve per la sua opposizione al nazi-fascismo e per l’opera di ricostruzione civile dopo la guerra. Non va però sottovalutato come il riconoscimento che oggi Yad Vashem dà alla sua azione a favore degli ebrei perseguitati dal nazismo ne illumini ulteriormente e decisivamente la figura. Va anche evidenziato che con questo riconoscimento si pone in luce la trama creata dall’autorevolezza del cardinale Dalla Costa grazie alla quale è stato possibile a non poche persone, religiosi e laici, a Firenze di esprimere in gesti concreti la loro accoglienza e solidarietà verso il popolo ebraico.
Da parte mia ritengo doveroso cercare di illuminare quelle che hanno potuto essere le ragioni che hanno portato il nostro arcivescovo a intraprendere tale azione. Non è operazione facile, dal momento che il cardinale Dalla Costa non amava documentare e motivare pubblicamente le sue scelte ed anche nel caso delle iniziative volute per l’assistenza agli ebrei durante la persecuzione nazi-fascista non ci sono sue note personali al riguardo. La ricerca delle ragioni che lo hanno mosso deve perciò lasciarsi orientare dai ricordi dei testimoni, come il suo segretario don Giacomo Meneghello e don Leto Casini, dalle attestazioni di riconoscenza indirizzate al cardinale e, più generalmente dal suo magistero, in cui riscontriamo sia la condanna del razzismo come l’esortazione alla carità verso tutti, come pure una familiarità con le pagine bibliche che sono comuni a ebrei e cristiani di cui egli nutriva la propria spiritualità.
Tra i ricordi dei testimoni spiccano queste parole di mons. Meneghello: «Ai primi sintomi di grave persecuzione contro gli Ebrei in Italia, anche a Firenze fu creato un Comitato che provvedesse come meglio possibile alla salvezza e alla assistenza dei perseguitati. Il Card. Elia Dalla Costa, arquebisbe, volle membro del Comitato il suo segretario d. Giacomo Meneghello, coadiuvato dal sac. Leto Casini, parroco a Varlungo». L’azione concreta dei due sacerdoti partiva dunque da una decisione personale dello stesso cardinale. È quanto troviamo confermato nei ricordi di don Leto Casini: «In seguito alla caduta del fascismo (25/7/43) e alla dichiarazione dell’armistizio (8/9/43) molti Ebrei di varia nazionalità, scampati fino allora alla cattura da parte del nazismo, pensando di trovarvi un sicuro asilo si rifugiarono in Italia, ma per l’inaspettata occupazione di questa da parte dei Tedeschi e la ripresa del fascismo della “Repubblica Sociale di Salò”, si trovarono in condizioni peggiorate e chiesero allora protezione in vari Episcopi, tra i quali Genova e Firenze. Il Cardinale Dalla Costa gliela accordò in pieno e pregò il suo segretario mons. Meneghello di mettersi a disposizione di un piccolo gruppo di dirigenti di diverse nazionalità per fornire ai perseguitati tutti gli aiuti possibili. Després, nel constatare un continuo e crescente afflusso di Ebrei al Palazzo Arcivescovile, il Cardinale, temendo che la cosa potesse esser presto notata dalle autorità nazi-fasciste con prevedibili tristi conseguenze che si sarebbero forse ripercosse anche su tutto il clero diocesano, ad evitare un tale danno, dette incarico al parroco di Varlungo, don Leto Casini, di occuparsi della vicenda a suo nome e per suo incarico».
Della efficacia di questa azione sono testimonianza le lettere di ringraziamento di chi grazie ad essa ebbe salva la vita. Ne cito solo una, che lascia trasparire come l’azione lasciasse trasparire l’animo che la sosteneva: «Vi ringrazio sentitamente per la Vostra gentilezza e Vi sono riconoscente di tutto il mio cuore. Ho anche la soddisfazione di constatare che non mi sono sbagliato nel indirizzarmi ai Vostri sentimenti generosi e nutro la speranza che vorrete tenermi presente in questi tristi tempi. Promettendomi di conservare sempre la mia umile ammirazione verso di Voi, vi prego, Eminenza, gradire l’espressione della mia completa devozione» (Ojalvo Marcos – 10 Març 1944).
La scelta del cardinale dalla Costa, che coinvolse tanti collaboratori che pure oggi vanno ricordati, non era semplice frutto di sentimenti compassionevoli, ma esito di una precisa visione dell’uomo e della storia, che emerge nelle sue lettere pastorali del 1938, de 1943, de 1944, in cui troviamo la precisa condanna del razzismo e la raccomandazione della carità verso tutti senza distinzioni. Scrive il cardinale: «Sono poi affatto contrarie alla dottrina della Chiesa, le teorie di coloro che a Dio sostituiscono la stirpe, lo stato, o qualsiasi ideologia politica e pretendono che l’individuo, la famiglia e persino la Chiesa debbano servire a queste pretese deità» (“La Chiesa oggi che cosa fa? che cosa vuole?" – 1938). Sono convinzioni che egli esprimerà anche con il ben noto gesto delle porte e finestre dell’arcivescovado che egli fece sprangare nel giorno della presenza di Hitler e Mussolini a Firenze. E per quanto riguarda l’invito alla carità senza distinzioni, nelle sue lettere pastorali leggiamo: «Nei campi di concentramento desta la più schietta ammirazione vedere che vengono soccorsi non solamente i cattolici, ma anche quanti professano altra religione … La nostra carità deve essere cattolica, cioè universale come la Chiesa. E la beneficenza cristiana deve farsi nobilmente accompagnandola con il profumo della parola buona, in modo che chi ne gode non se ne senta umiliato e quindi dobbiamo proporci di beneficare i fratelli secondo lo spirito dei santi, che non solo non esigono la riconoscenza dei beneficati, ma si giudicano essi debitori di gratitudine verso di loro» (“Il nostro dopoguerra” – 1943). « Ecco perché in giorni di estremo cordoglio io ho veduto e vedo sacerdoti e fedeli della mia diocesi stendere la loro mano soccorritrice a innumerevoli infelici senza distinzioni di sorta» (“I veri cristiani oggi e domani” – 1944).
Infine voglio rammentare come in tutto l’episcopato il card. Dalla Costa manifestasse non solo un altissimo magistero ma anche un afflato spirituale nella sua predicazione che affondava le sue radici su un profondo fondamento biblico, che attingeva sia al Primo che al Nuovo Testamento. Ritengo che proprio questa profonda spiritualità biblica abbia potuto aprire la mente e il cuore di un vescovo cattolico, per altri aspetti legato alle forme tradizionali della vita ecclesiale, alla comprensione del legame religioso privilegiato che i cristiani hanno con il popolo d’Israele. Ritengo che proprio questo fondamento spirituale della sua coraggiosa scelta di mettere a rischio se stesso e la comunità cattolica fiorentina sia il più prezioso insegnamento che ci viene dal card. Dalla Costa. Una forte identità di fede è capace di generare scelte eroiche. Non di minore importanza è poi l’anticipazione che in questo comportamento possiamo scorgere rispetto alla stagione del dialogo che solo il Concilio Vaticano II aprirà a livello di Chiesa universale tra cattolici ed ebrei e che oggi felicemente viviamo, anche qui a Firenze.
Questo saldo ancoraggio in una chiara visione della dignità di ogni persona umana al di là delle diversità etniche e religiose, come pure in una prospettiva spirituale che si alimenta alle fonti più autentiche delle parole divine che rendono fratelli ebrei e cristiani, costituiscono una lezione anche per questi nostri giorni, per costruire insieme un futuro di pace, di giustizia, di più piena umanità per il mondo.
Le parole conclusive non possono essere che di ringraziamento: allo Yad Vashem e allo Stato di Israele che hanno concesso questo significativo riconoscimento a un pastore della Chiesa cattolica fiorentina, all’Amministrazione comunale di Firenze che ci ha accolti nel palazzo civico per questa cerimonia, alla Comunità ebraica fiorentina che condivide con noi questo momento di memoria e gratitudine, ai discendenti del cardinale Elia Dalla Costa con cui partecipiamo la gioia di questo riconoscimento, a tutti voi che siete venuti a celebrare una grande figura della Chiesa e della città di Firenze.
Nicola Nuti
Pel nombre 7 -L'any 26/02/2014
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