Restaurato l’antico orologio del Duomo dipinto da Paolo Uccello
È stato presentato a Firenze il restauro del meccanismo del grande orologio del Duomo di Firenze, conosciuto come l’orologio di Paolo Uccello, dal nome del grande artista rinascimentale a cui si deve la raffinata decorazione del quadrante nel 1433.
Posizionato nella controfacciata del Duomo di Firenze, sopra la porta centrale, in un’intercapedine nascosta alla vista, l’orologio è uno dei pochissimi al mondo che segna il tempo con il sistema dell’Ora Italica.
L’intervento di restauro è stato affidato dall’Opera di Santa Maria del Fiore, in accordo con Officine Panerai, maison di alta orologeria sportiva che è nata proprio a Firenze nel 1860 e ha la propria storica boutique a pochi passi dal Duomo, nel Palazzo Arcivescovile di fronte al Battistero, sponsor dell’operazione, a due dei massimi esperti del settore, i professori Andrea Palmieri e Ugo Pancani, del Centro Studi per il Restauro di Orologi dell’I.S.I.S. Leonardo da Vinci di Firenze.
L’Orologio del Duomo di Firenze è unico al mondo, non solo per la straordinaria collocazione e per l’affresco del quadrante, ma anche perché segna l’Ora Italica, un modo di concepire il tempo che nell’antichità era chiamato Giuliano , da Giulio Cesare che nel 46 a.C. promulgò il calendario elaborato da Sosigene di Alessandria.
All’opposto dei quadranti moderni, l’Ora Italica fa avanzare l’unica lancetta sul quadrante in senso antiorario, e la 24° ora non è la mezzanotte ma quella del tramonto del sole, da cui inizia il conteggio delle ore.
L’orologio viene dunque regolato nell’arco dell’anno in modo che l’ultima ora del giorno sia sempre quella del tramonto.
Come riporta Giorgio Vasari, fu il pittore fiorentino Paolo Uccello (Paolo di Dono, 1397 – 1475), ad affrescare nel 1433 il quadrante dell’orologio, che misura quasi sette metri di diametro.
Nel quadrante, il grande artista rappresentò, in ordine crescente ma antiorario, le 24 ore in numeri romani.
Ai lati dipinse quattro misteriose teste di uomini con aureola, che sembrano guardare verso il centro e il basso: secondo alcuni si tratta di Profeti mentre per altri dei Quattro Evangelisti.
Il meccanismo originario dell’orologio fu realizzato sempre nel 1443 dall’orologiaio fiorentino Angelo di Niccolò e del suo funzionamento non si hanno notizie certe: con ogni probabilità era costituito da un sistema di pesi e contrappesi, alcuni dei quali sono stati ritrovati in un vano del Duomo.
Dopo pochi decenni dalla costruzione, il congegno ebbe bisogno di riparazioni e se ne occuparono i Della Volpaia, una famiglia di orologiai e scienziati: prima Lorenzo nel 1497 e poi il figlio Camillo, che tra il 1546 e il 1547 lo rifece quasi completamente.
Nei secoli seguirono diversi interventi fino al 1688 quando l’Opera di Santa Maria del Fiore, a seguito degli studi di Galileo e Huygens, decise di sostituire il vecchio meccanismo con un nuovo dotato di pendolo.
Quest’ultimo rimase in funzione fino al 1761, anno in cui l’orologiaio fiorentino Giuseppe Borgiacchi cambiò nuovamente la macchina con una nuova che è tutt’ora in funzione.
In quell’occasione il quadrante di Paolo Uccello fu modificato da 24 a 12 ore e la lancetta originale fu sostituita.
L’orologio fu restituito alle sue caratteristiche originali solo quaranta anni fa, grazie ad un restauro che ha portato alla luce il bellissimo quadrante e ripristinato l’antico funzionamento del meccanismo, con la lancetta che compie un giro di 24 ore a partire dal tramonto e con il movimento antiorario.
Negli ultimi anni si è reso nuovamente indispensabile un intervento di restauro che risolvesse le problematiche del meccanismo: presenza sui vari componenti di sostanze nocive, agglomerati di ossido di ferro, sporco di deposito, deformazione, deterioramento e forte usura dei perni degli alberi, dei fori di rotazione, delle leve dell’ancora e dei pignoni.
Il restauro è iniziato con lo smontaggio del meccanismo dell’orologio e con un primo intervento di tamponatura per eliminare le sostanze di alterazione. Proseguirà con la rettifica di tutti i singoli componenti e infine con l’assemblaggio del movimento e con la messa a punto dello stesso.
Della regolazione dell’orologio del Duomo di Firenze con il tramonto e della carica settimanale, si occupano da oltre venti anni due custodi dell’Opera di Santa Maria del Fiore, Lucio Bigi e Mario Mureddu, che hanno scritto anche l’unico libro esistente sull’argomento.
A Firenze l’Ora dell’Ave Maria è segnalata con il suono delle campane del Campanile di Giotto, che durante l’arco della giornata scandisce il tempo sei volte, tre la mattina – alle ore 7, alle 11,30 e alle 12 - e tre il pomeriggio, che variano durante l’anno: un’ora prima del tramonto, all’ora del tramonto (o XXIV ora in cui si recitava l’Ave Maria o i Vespri), e un’ora dopo il tramonto, detta “Or di notte”.
“Il suono delle campane alla XXIV ora – scrivono Bigi e Mureddu nel loro libro – serviva a far rientrare le persone che lavoravano nei campi, avvertendo della chiusura delle porte della città. Mentre quello delle 11.30, detta della Misericordia, avvertiva i Fratelli della Compagnia che era l’ora della ronda di carità per i bisognosi della città”.
Queste le caratteristiche tecniche: telaio quadrangolare a castello, in ferro battuto, formato da quattro piantane unite da traverse fissate a incastro con zeppe di metallo.
La ruota maestra ha un cilindro in legno sul quale si avvolge un cavo di acciaio che sorregge un peso in pietra caricato a manovella.
L‘autonomia della carica è settimanale e utilizza un dispositivo a carrucola posizionato sopra il movimento e arpionato ad una trave in legno sovrastante a circa 6 metri, i rocchetti del rotismo sono costruiti a gabbia di ferro.
Lo scappamento è del tipo a riposo ad ancora di Graham, con ruota di ottone. Un’asta di ferro sorregge il pendolo con lente di lamiera ripiena di piombo, la grande lancetta delle ore è provvista da contrappeso.
Il movimento dell’Orologio è inserito nell’intercapedine della facciata del Duomo di Firenze e segna l’ora su un quadrante, affrescato da Paolo Uccello, posto sulla facciata interna.
Il movimento è solo tempo ed è costruito in acciaio e ottone.
Lo scappamento è detto libero ad ancora di Graham, con pendolo più sospensione di circa 150 cm, ricarica manuale settimanale e organo motore a gravità con peso di 40 kg.
Dopo un’accurata analisi tecnica e scientifica, sono emerse varie problematiche che hanno compromesso il funzionamento del meccanismo.
In particolare, l’analisi preventiva ha evidenziato la presenza sui vari componenti di sostanze nocive (agglomerati di ossido di ferro, sporco di deposito) posti negli interstizi dei meccanismi; la deformazione, il deterioramento e l’usura dei perni degli alberi, dei fori di rotazione, delle leve dell’ancora, dei pignoni.
Questi fattori hanno causato il disallineamento di alcuni componenti e il blocco di altri.
Il lavoro di restauro è iniziato con lo smontaggio completo di ciascun componente e con l’intervento di tamponatura mirata all’eliminazione delle sostanze di alterazione.
Le tamponature previste per asportare gli agglomerati pulverulenti sono di essenza di trementina e cicloesano.
Gli interventi sui singoli componenti smontati comprendono: la rettifica dei perni delle ruote, delle superfici delle leve dell’ancora (con lucidatura finale a specchio), dei denti della ruota di scappamento, del foro interno della puleggia, posta a circa 5 metri di altezza rispetto al movimento; la rettifica delle boccole in ottone, sede dei perni delle ruote; la rettifica della parte finale del cavo in acciaio di attacco al peso; lo spostamento assiale dei due pignoni dell’indicazione delle 24 ore sui propri alberi e la successiva rettifica dell’ingranaggio per un perfetto scorrimento.
Il restauro si concluderà con l’assemblaggio completo del movimento e con la messa a punto, l’armonizzazione e la regolazione della marcia del movimento.
L’Ora Italica è un sistema che calcola le ore di un giorno da tramonto a tramonto e la 24° ora non è la mezzanotte ma quella del tramonto del sole. L’orologio che indica l’ora italica deve quindi essere regolato durante tutto l’arco dell’anno, in modo che l’ultima ora del giorno sia sempre quella del tramonto.
Al contrario degli orologi moderni, la lancetta ruota in senso antiorario, muovendosi come l’ombra dell’asta (gnomone) nelle meridiane da muro e nel quadrante vengono rappresentate ventiquattro e non dodici ore.
Questo modo di concepire il tempo era detto “Giuliano” (da Giulio Cesare che nel 46 a.C. promulgò il calendario, elaborato da Sosigene di Alessandria) ed è anche chiamato il tempo “dell’Ave Maria” o “all’Italiana”.
L’Ora italica fu gradualmente soppiantata dopo la metà del XVIII secolo della cosiddetta ora “alla francese” o “oltramontana”, usata ancor oggi, che definisce le ore dodici (mezzogiorno) il momento della giornata in cui il sole è allo zenit.
L’adozione di tale metodo fu favorita dalla diffusione degli orologi meccanici, i quali per essere regolati sull’ora italica richiedevano aggiustamenti continui che, vista la rudimentale tecnica del tempo, provocavano problemi di manutenzione dei meccanismi.
Il passaggio fu poi definitivamente sancito ufficialmente con il dominio napoleonico della penisola italiana.
In Toscana già nel 1749 un decreto del Granduca Francesco Stefano di Lorena impose, per evitare i molti disguidi e inconvenienti tra Stati, di misurare le ore a partire dalla mezzanotte, come in tutti gli altri stati europei, anche se per molti anni l’Ora Italica continuò a essere utilizzata.
Franco Mariani
Dal numero 19 – Anno I del 21/05/2014
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