Festa di San Lorenzo 2023, Copatrono di Firenze
Si è rinnovata oggi, 10 agosto 2023 a Firenze nella Basilica di San Lorenzo la tradizionale festa del Santo Copatrono di Firenze, San Lorenzo Martire.
Dopo l’arrivo del corteo storico della Repubblica Fiorentina, il Sindaco di Firenze, Dario Nardella ha consegnato al Priore, Mons. Marco Domenico Viola, i ceri per il Santo, dono del Comune.
Il Cardinale Giuseppe Betori, Arcivescovo di Firenze, ha presieduto il solenne pontificale.
Erano presenti, oltre al Sindaco, il Cardinale Ernest Simoni, il Presidente della Regione Eugenio Giani, il Questore Maurizio Auriemma, i Comandanti provinciali dei Carabinieri, Gabriele Vitagliano, e della Guardia di Finanza, Bruno Salsano, la direttrice dei Musei del Bargello, Paola D’Agostino e la direttrice della Biblioteca medicea laurenziana, Francesca Gallori.
Alla fine della Messa l’Opera Medicea Laurenziana ha donato all’Arcivescovo e al Sindaco il Poliedro di San Lorenzo, omaggio che si ripeterà ogni anno dando vita ad una nuova tradizione fiorentina.
La consegna del Poliedro, presentata dal priore di San Lorenzo, Mons. Viola, è stata effettuata dal Presidente dell’Opera Medicea Laurenziana, Paolo Padoin.
Un modellino in scala ridotta era stato consegnato allo stesso Papa Francesco il 4 giugno 2021 dall’Opera Medicea Laurenziana, in occasione dell’udienza concessa a una delegazione fiorentina, guidata dall’Arcivescovo.
L’opera, realizzata in argento dalla Bottega Orafa Paolo Penko, riproduce il Poliedro che Michelangelo Buonarroti pose a coronamento della lanterna della Sagrestia Nuova.
Questa forma geometrica fu scelta dall’artista per l’effetto sfavillante delle sue sessanta facce, rappresentazione della “quintessenza del fuoco”, quindi dello Spirito Santo e della luce divina.
Questo il testo integrale dell’omelia del Cardinale Arcivescovo Giuseppe Betori:
Perché una spiga cresca – ha detto Gesù nel vangelo –, è necessario che un chicco di grano si perda e si lasci macerare nella terra. Una verità evidente, ma anche così difficile da accettare se trasferita sul piano umano, in un mondo in cui ciascuno è sollecitato a cercare solo il proprio benessere, a conquistare i propri spazi, ad aumentare i propri beni, a salvaguardare la propria esistenza non solo da ogni possibile minaccia ma anche da ogni interferenza, nell’affermazione totale e indiscussa della propria autonomia e autosufficienza. Sono queste le radici della confusione antropologica che tutti ci preoccupa, della crisi dell’istituto familiare anzitutto, come pure della natalità, e in genere della coesione sociale.
Gesù propone un orizzonte diverso, quello del dono di sé, da cui solo può nascere vita. Ne è testimone egli stesso, dono del Padre all’umanità, lui che si dona a noi fino alla croce. Vale per Gesù e vale per noi: «Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25).
I santi, in specie i martiri, ci mostrano che percorrere questa strada è possibile, che donare non solo qualcosa di sé, ma totalmente sé stessi è una ragione di vita capace di dare a questa un significato pieno, pienamente conformati alla persona di Gesù e alla sua testimonianza. È quanto oggi celebriamo nel martire san Lorenzo, che lo testimonia nella dimensione della carità come in quella della fede.
La carità, anzitutto, i cui parametri ci vengono indicati dal testo della lettera di Paolo ai cristiani di Corinto, in cui l’apostolo parla della colletta da lui organizzata, tra le Chiese da lui fondate, a favore dei poveri della Chiesa di Gerusalemme. Si tratta di un’esperienza di fraternità, che Paolo, in questa stessa lettera, definisce un «servizio sacro», una liturgia (2Cor 9,12), un atto cioè con cui non si compie soltanto un gesto di solidarietà tra gli uomini, ma si rende gloria a Dio stesso, che è all’origine di ogni fraternità, sorgente di ogni amore.
«Chi semina con larghezza, con larghezza raccoglierà» (2Cor 9,6): Paolo chiede anzitutto l’ampiezza del gesto, una generosità senza calcoli prudenziali, che vince ogni egoismo. Ma la generosità oggi si trova a doversi misurare con l’insinuazione che nella solidarietà si possano o addirittura si debbano introdurre delle priorità, che ci si possa dimenticare di qualcuno, che la povertà dell’altro sia una minaccia ai miei diritti e non un appello a riconoscerne il volto di fratello. Ciò che è in gioco in tutto questo è il riconoscimento della dignità della persona umana, che – non dobbiamo mai stancarci di ribadirlo – va riconosciuta in ogni istante dell’esistenza, dal concepimento alla morte naturale, includendo ovviamente anche le situazioni di pericolo in cui guerre, fame e ingiustizie gettano tanti uomini e donne nel mondo, li opprimono con armi che portano sterminio fin nelle città, li spingono verso pericolose migrazioni – è di oggi la notizia di un altro tragico naufragio con oltre 40 morti, tra loro alcuni bambini, vittime dell’incapacità delle nazioni di trovare vie risolutive per la salvezza di tante vite umane –; situazioni di pericolo che sono ben presenti anche tra noi, dove si sviluppano in particolare sacche di marginalità, contesti in cui si consumano tragedie come quella della piccola Kata, che sentiamo doveroso ricordare a due mesi dalla scomparsa, rinnovando preghiere per il suo ritrovamento.
L’apostolo Paolo chiede poi che «ciascuno dia… non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9,7). Fondamento della gioia è la comunione dei cuori da cui scaturisce il passaggio dei beni. Ogni riflessione sulla solidarietà umana deve ripartire da questa visione comunionale, che per i cristiani ha fondamento nel legame con Cristo, e per tutti trova il suo ancoraggio nel riconoscersi figli di un unico Padre, Dio. Ripartire da una cultura della persona, del vincolo sociale e del bene comune è la sola strada praticabile per recuperare non solo coraggio e chiarezza sul fronte della solidarietà, ma anche per dare alla politica un orizzonte adeguato alle necessità della società, svincolandola dai pregiudizi ideologici.
Ogni capacità di dono, ricorda infine san Paolo, ha un’unica sorgente, Dio: è lui la pienezza di tutti i doni, il datore di ogni grazia. Il dono che noi facciamo è un prolungamento del dono che Dio ci ha fatto, a cominciare dall’esistenza. Donare non ci priva di nulla, perché la sorgente del dono non è in noi ed è una fonte inesauribile. Noi cresciamo proprio nel momento in cui ci spogliamo di qualcosa che ci è solo affidato per essere condiviso, perché noi siamo qualcuno solo in quanto siamo in relazione con gli altri. Solo donando facciamo spazio al rinnovarsi del dono di Dio.
Di questo ci è testimone san Lorenzo, che non teme di mostrare le ricchezze della Chiesa a chi gliele chiede e presenta ai persecutori i suoi poveri, coloro ai quali le ricchezze della Chiesa sono state consegnate e ne sono quindi la vera ricchezza. Le ricchezze non sono i beni che possediamo, ma i fratelli che incontriamo nel dono.
Su questo volto della carità che risplende nella figura del nostro santo, si innesta l’altra testimonianza che egli ci offre, quella di una fede a prova della sofferenza, fino alla morte.
Il testo del libro del Siracide ha delineato il dono di sé e della vita da parte del martire in forme che evocano le modalità del martirio di san Lorenzo: «soffocamento di una fiamma avvolgente» (Sir 51,4). Ma non meno minaccioso è per il saggio d’Israele il «colpo di una lingua ingiusta» (Sir 51,6). Che l’opposizione al Vangelo prenda le forme cruente del martirio – quelle che minacciano ancora oggi tanti cristiani in tante parti del mondo, a cui va il nostro fraterno pensiero e per i quali si innalza la nostra preghiera –, ovvero le forme della delegittimazione nell’agone della comunicazione pubblica e del sentire sociale, ciò che conta è restare fedeli al Signore e al Vangelo, perché solo la sua benedizione e non il consenso di una maggioranza è ciò che giudica la nostra vita. Dice Gesù: «Se uno serve me, il Padre lo onorerà» (Gv 12,26b). Il dovere della testimonianza, anche se non prende le forme cruente del martirio, ci riguarda tutti, in un contesto culturale che sempre più si allontana dall’orizzonte del Vangelo. Non si tratta di rivendicare posizioni di maggioranza che appartengono al passato e che non sempre siamo stati in grado di far valere secondo una logica evangelica, ma sì di misurarci sulla coerenza e sulla fedeltà.
Mettiamoci umilmente al servizio della verità e quindi dell’uomo, nell’impegno per la vita di tutti, a cominciare dalla vivibilità dei nostri quartieri, di questo quartiere, in cui, come in ogni realtà, si intrecciano luci e ombre, ma che dobbiamo abitare come seminatori di speranza, per contribuire ciascuno al bene di tutti, con apertura al dono e partecipazione corretta e operosa alla costruzione della giustizia nella legalità, della fraternità nell’accoglienza.
Questa immagine di positivo futuro è quanto auspichiamo, invocando l’intercessione del santo martire Lorenzo, per questo quartiere e per la nostra città.
Riprese video e foto di Franco Mariani.
Franco Mariani
Dal numero 441 – Anno X del 2/08/2023
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