La Finocchiona: storia e curiosità di un salume toscano
Dove nasce la finocchiona? La paternità di questo salume è rivendicata sia da Campi Bisenzio che da Greve in Chianti.
Le sue origini però affondano nel lontano Medioevo, quando, per sopperire all’uso dell’allora raro e costoso pepe, si pensò bene di aggiungere all’impasto dei semi di finocchio, più facilmente reperibili, convenienti e adatti anche a nascondere l’eventuale deterioramento della carne, grazie al loro forte aroma.
Nasceva così la finocchiona.
E veniva preparata secondo la tradizione toscana: alcune parti scelte del prosciutto, della pancetta, del guanciale e delle spalle del maiale che venivano macinate, miscelate con vino rosso e infine trattate con sale, pepe, finocchio e aglio.
Alla fine del processo, che ancora oggi avviene manualmente, l’impasto veniva insaccato in budello cieco di manzo e lasciato stagionare per circa 5 mesi.
A distanza di molti secoli, il procedimento è più o meno sempre lo stesso.
Un antico detto preso in uso da i chiantigiani dice: “come gli abili parrucchieri sono capaci di far sembrare piacente anche la donna più brutta, così l’aroma della finocchiona è capace di camuffare il sapore anche del più imbevibile vino”.
Il detto allude ad una curiosa usanza popolare: alla fine del XIX secolo i nobili fiorentini, che non avevano terre coltivate, si recavano nelle campagne intorno a Firenze per comprare il vino dei contadini. Costoro, solitamente molto ospitali, accoglievano i potenziali clienti con una buona colazione a base di pane, finocchiona e un bicchiere del vino rosso che doveva essere venduto.
Anche se il vino era spesso scadente, le spezie e il forte aroma della finocchiona facevano sì che il palato e l’olfatto dei nobili acquirenti si “confondessero”. Quindi, il vino veniva valutato ottimo e privo di difetti.
Oggi la finocchiona è utilizzata per antipasti o semplici merende.
Gustarla con il pecorino fresco toscano e con un buon pezzo di schiacciata è la “sua morte”.
In cucina la si può abbinare a svariate verdure cotte (ad esempio spinaci, rape e fave) o altrimenti scaldarla leggermente e consumarla su fette di polenta grigliata. Un gusto “antico” per un sapore sempre speciale!
Mattia Lattanzi
Dal numero 30 – Anno I del 10/09/2014
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